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ARTHUR SCHOPENHAUER

SCHOPENHAUER è considerato il primo “disertore dell'Occidente” in quanto critica fortemente l'ottimismo razionalistico dell'idealismo e la generale fiducia, tipica dell'Ottocento, nella scienza e nella storia in quanto cammino dotato di un fine ultimo.

Il bisogno dell'investigazione filosofica in Schopenhauer nasce proprio dalla percezione del dolore e dell'insensatezza del mondo che provoca angoscia. Questo amaro disincanto accompagna la riflessione del filosofo tanto da portare a definirlo “maestro del pessimismo”.

VITA DEL FILOSOFO

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica, in Polonia, nel 1788. Il difficile rapporto con i genitori risulta decisivo per la sua formazione, specialmente la mancanza di calore da parte di una madre che non lo aveva desiderato. Da questa consapevolezza Arthur ricava la convinzione che la vita sia solo un impulso biologico, senza scopo e senza logica e che l'essere umano sia gettato nel mondo privo di consolazioni.

Nel 1793, dopo la spartizione della Polonia tra Prussia e Russia, la famiglia di Schopenhauer si trasferisce ad Amburgo, importante snodo commerciale tra il mar del Nord e il mar Baltico. Nel 1797 Arthur viene avviato dal padre alla carriera di commerciante e affidato alla famiglia di un suo socio in affari a La Havre, in Francia. Qui Arthur impara il francese e vive un'esperienza simile ad avere una famiglia, per l'unica volta in tutta la sua vita.

Nel 1799 torna ad Amburgo, rinuncia a malincuore al liceo e comincia ufficialmente la sua carriera da commerciante.

Nel 1805 il padre muore probabilmente suicida e Arthur inizia un periodo di intenso tormento interiore, lacerato tra l'obbligo morale di onorare il volere del padre proseguendo la sua attività e, dall'altra parte, l'inclinazione per la filosofia.

Nel 1806 la madre di Arthur si trasferisce a Weimar dove entra a far parte di un vivace cenacolo letterario, mentre Arthur resta per un periodo ad Amburgo ad amministrare il patrimonio familiare.

La svolta giunge nel 1807 quando Arthur dà le dimissioni dal suo posto di apprendista e si iscrive al ginnasio di Gotha. Si trasferisce poi a Weimar dove, freddamente accolto dalla madre, va a vivere da solo e studia per sostenere l'esame d'ammissione all'università.

A 21 anni si iscrive all'università di medicina di Gottinga, periodo in cui studia anche matematica e fisica, si avvicina al pensiero di Platone e Kant e conosce gli idealisti tedeschi verso i quali prova subito avversione.

Nel 1811 si iscrive all'Università di Berlino dove ascolta le lezioni di Fichte, rettore dell'ateneo, rimanendone deluso. Nel 1813 la Prussia dichiara guerra alla Francia napoleonica e gli studenti vengono chiamati alle armi.

Il filosofo si trasferisce così in una cittadina della Turingia, nella Germania centrale e scrive la sua dissertazione di laurea “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”. Dopodichè invia lo scritto all'Università di Jena e ottiene la laurea in filosofia.

A quel punto torna a Weimar dove conosce Goethe, padre della cultura tedesca. Ma i litigi con la madre continuano e nel 1814 decide di lasciare la città e non vederla più.

Si trasferisce a Dresda dove inizia a riflettere sulla nozione centrale del suo sistema filosofico: la volontà di vivere come pulsione irrazionale che governa ogni vivente. Per chiarirne la natura, Schopenhauer decide di affidarsi alle religioni orientali, specialmente l'induismo, dopo essere stato deluso dalle categorie filosofiche della tradizione occidentale che pone a fondamento dell'essere l'uomo che pensa, e non l'uomo che vuole.

In questo periodo inizia la stesura della sua opera più importante “Il mondo come volontà e rappresentazione” portata a termine nel 1818. L'opera si rivela un clamoroso insuccesso e porta l'autore a un lungo isolamento.

Nel 1819 Schopenhauer ottiene una cattedra di filosofia all'Università di Berlino dove insegna anche Hegel, il pensatore più noto e celebre del regime prussiano. Schopenhauer con fare di sfida decide di tenere le sue lezioni negli stessi orari di quelle di Hegel, cosa che si rivela un grosso errore: nella sua aula si presentano pochissimi studenti, in quella di Hegel più di duecento.

Dopo questo ulteriore fallimento professionale ed esistenziale, Schopenhauer annulla l'ultimo semestre di lezioni. A Berlino inizia a frequentare un'attrice e ballerina Caroline Richter, da cui si separa 10 anni più tardi con estrema sofferenza per il tradimento di lei. Questo fatto contribuisce ad accrescere la famosa misoginia di Schopenhauer di cui è testimonianza un aneddoto accaduto nel 1821: disturbato dalle chiacchiere di un'anziana signora sua vicina di casa, il filosofo la aggredisce facendola cadere dalle scale e provocandole varie lesioni.

Nel 1831 a causa di un'epidemia di colera, Schopenhauer lascia Berlino e si trasferisce a Francoforte, dove rimarrà fino alla sua morte. Qui, nel 1836, pubblica il saggio Sulla volontà della natura. Nel 1831 ottiene finalmente il suo primo riconoscimento pubblico: il suo saggio Sulla libertà del volere umano è premiato dall'accademia di Danimarca e insieme ad un altro testo Sul fondamento della morale, confluisce in un'opera intitolata I problemi fondamentali dell'etica, del 1841. Nel 1851 pubblica la sua ultima opera, Parerga e Paralipomena, scritti frammentari che grazie alla loro forma popolare e brillante sono il suo primo vero successo editoriale e lo rendono popolare.

Trascorre gli ultimi anni di vita malato e in solitudine e muore nel 1860 assistito dal suo biografo ed esecutore testamentario.

RADICI CULTURALI DEL PENSIERO

La filosofia di Schopenhauer è il risultato dell'incontro tra correnti di pensiero eterogenee.

Dalla teoria delle idee di Platone, Schopenhauer ricava l'idea che esista un tipo di essere eterno, libero dalla caducità del nostro mondo.

Di Kant, il pensatore da lui più ammirato in assoluto, adotta la prospettiva soggettivistica della gnoseologia.

Ciò che lo attrae dell'Illuminismo è la prospettiva materialistica, da cui desume l'idea di considerare la vita psichica in termini di fisiologia del sistema nervoso.

Da Voltaire, Schopenhauer prende la tendenza a demistificare le credenze della tradizione in modo ironico e brillante.

Dal Romanticismo deriva alcuni temi di fondo del suo pensiero come l'irrazionalismo, l'importanza attribuita all'arte e alla musica, l'idea che nel mondo sia presente un principio assoluto di cui la realtà fenomeniche sono soltanto manifestazioni limitate. Anche il tema del dolore è tratto dai romantici, tuttavia il Romanticismo lo considera in chiave dialettica, ossia riscattabile tramite il positivo (Dio, il progresso, la storia…), sostenendo perciò una visione nel complesso ottimistica. Invece Schopenhauer vede il dolore come elemento necessario della condizione umana, in un'ottica decisamente pessimistica della realtà.

Il pensiero idealistico rappresenta il principale obiettivo critico per Schopenhauer: lo condanna in quanto “filosofia delle università” che non è al servizio della verità ma soltanto di interessi come il successo e il potere, in quanto giustifica le credenze sostenute dalla Chiesa e dallo Stato. Una filosofia, quindi, dal grande impatto negativo sulla cultura dell'epoca e sulla formazione dei giovani.

Schopenhauer, di contro, ha sempre sostenuto fortemente la libertà della filosofia, indignandosi ad esempio per la divinizzazione hegeliana dello Stato.

Un ruolo importante nel pensiero del filosofo, infine, riveste la sapienza dell'antico Oriente, in particolare la tradizione filosofico-religiosa indiana. Il suo rapporto con il pensiero orientale è tuttora un problema aperto e dibattuto dai critici, ma di certo Schopenhauer è stato il primo filosofo occidentale a tentare il recupero di alcune linee di pensiero dell'estremo Oriente, desumendo da esso una serie di immagini ed espressioni suggestive che abbondano nei suoi scritti.

IL VELO DI MAYA

Il punto di partenza di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno, “le cose così come appaiono” e noumeno “la cosa in sé”. Questa distinzione però non ricalca quella di Kant: per lui il fenomeno era l'unica realtà accessibile alla mente umana, mentre il noumeno era la realtà assoluta e inaccessibile all'uomo, un concetto che ci ricorda la limitatezza della conoscenza umana.

Invece per Schopenhauer il fenomeno è apparenza, illusione, sogno, cioè quello che nell'antica sapienza indiana e buddista viene chiamato “velo di maya”, mentre il noumeno è la realtà che si nasconde dietro l'ingannevole fenomeno e che il filosofo ha il compito di scoprire.

Inoltre, per il criticismo Kantiano il fenomeno è l'oggetto della rappresentazione il quale, sebbene percepito tramite certe categorie presenti solo nella mente umana, ha una sua esistenza di “dato” materiale anche al di fuori della coscienza. Il fenomeno di Schopenhauer invece è rappresentazione soggettiva: esiste solo dentro la coscienza. Tant'è che il filosofo apre il suo testo più famoso con l'affermazione: “il mondo è la mia rappresentazione”.

IL CONCETTO DI RAPPRESENTAZIONE

La rappresentazione ha due aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato. Sono due facce della stessa medaglia, ovvero inseparabili: ciascuno non può sussistere indipendentemente dall'altro. Pertanto sono filosofie erronee sia quella materialistica, che nega il soggetto riducendolo all'oggetto materiale, sia quella idealistica che nega l'oggetto riducendolo al soggetto.

Come Kant, Schopenhauer ritiene che la nostra mente sia dotata di forme a priori o categorie, ma ne ammette soltanto tre: spazio, tempo e causalità.

Infatti le altre categorie individuate da Kant (ben 12) si possono ricondurre alla causalità. Questo accade perché ogni oggetto è completamente definibile secondo la sua azione causale sugli altri oggetti, tant'è vero che Schopenhauer chiama la causalità “principio di ragion sufficiente”. Esso assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera.

Il principio di ragion sufficiente si può infatti manifestare come:

-principio del divenire (quando opera nella fisica e regola i rapporti tra oggetti naturali)

-principio del conoscere (quando opera nella logica e regola i rapporti tra premesse e conseguenze)

-principio dell'essere (quando opera nella matematica e regola le connessioni aritmetico-geometriche)

-principio dell'agire (quando opera nella morale e regola le connessioni tra un'azione e le sue ragioni).

Le forme a priori mediante le quali ci rappresentiamo il mondo, spazio, tempo e causalità, sono per Schopenhauer come dei vetri sfaccettati che deformano la visione delle cose. Per questo la realtà così percepita è un insieme di apparenze che la rendono simile a un sogno.

Tuttavia, al di là del sogno c'è la vera realtà e l'uomo non può fare a meno di interrogarsi su di essa perchè egli è “animale metafisico”, cioè, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e a interrogarsi sulla sua essenza ultima.

L'ANALISI DEL NOUMENO

Schopenhauer dichiara di aver individuato la via di accesso al noumeno, il modo di lacerare il velo di Maya della rappresentazione e raggiungere la cosa in sè.

L'uomo è dato a se stesso non solo come rappresentazione ma anche come corpo: non si limita a vedersi da fuori ma si “vive” da dentro, provando piacere e dolore. Questa esperienza fondamentale ci permette di squarciare il velo del fenomeno e di afferrare l'essere in sè. Se l'uomo invece fosse solo conoscenza, come una “testa d'angelo alata, senza corpo” non potrebbe uscire dal mondo del fenomeno, dalla rappresentazione esteriore di se stesso e delle cose.

E allora ripiegandoci su noi stessi possiamo intuire che l'essenza profonda, cioè la “cosa in sè” del nostro essere è la volontà di vivere. Noi siamo vita e volontà prima di essere intelletto e conoscenza e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell'insieme delle nostre brame interiori: l'apparato digerente è l'aspetto fenomenico della volontà di nutrirsi, l'apparato sessuale è l'aspetto fenomenico della volontà di accoppiarsi e così via. La volontà ha un primato ontologico sulle sue manifestazioni fenomeniche, incluso l'intelletto; un rapporto che il filosofo spiega affermando che esso è simile a quello esistente tra “padrone e servo, cavaliere e cavallo, fabbro e martello”.

La volontà di vivere inoltre, è la radice noumenica non solo dell'essere umano ma anche di tutte le cose del mondo: la volontà è la “cosa in sè” dell'universo, il nocciolo di ogni singolo ente e del tutto. Pertanto l'intero mondo fenomenico è il modo in cui la volontà si manifesta e si rende visibile a se stessa nello spazio e nel tempo, cioè il modo in cui essa si fa rappresentazione. La volontà di vivere infatti pervade ogni essere della natura, secondo gradi di consapevolezza diversi, dalla materia organica (in cui si manifesta in modo inconscio) fino all'essere umano (in cui ha piena consapevolezza).

Ma cosa rende possibile la scoperta della volontà anche come essenza del mondo? Quando viviamo il nostro corpo smettiamo di percepirlo come oggetto tra gli altri e quindi secondo le categorie della rappresentazione (spazio, tempo, causalità). Così ci relazioniamo col corpo senza quegli strumenti che ci permettono di “individuare” gli oggetti, di percepire una molteplicità di oggetti distinti. Pertanto l'essenza che percepiamo nel nostro corpo perde i limiti dell'individualità e si estende oltre noi stessi.

Infatti per Schopenhauer è corretto parlare di fenomeni al plurale (perchè le categorie ci consentono di distinguere le cose molteplici di cui facciamo esperienza fenomenica) ma si deve parlare di noumeno al singolare, perché in quest'ambito non operano lo spazio o il tempo. Per questo motivo, nel momento in cui colgo la volontà come essenza del mio corpo, so già che essa è anche l'essenza della realtà intera.

Si noti infine che l'io per Schopenhauer è coincidenza di coscienza, volontà e corpo. Mentre l'idealismo vedeva l'io come un principio astratto e universale e Kant lo vedeva come soggetto trascendentale, comune a tutti gli uomini, Schopenhauer non rinuncia a nessuna delle componenti umane che vengono viste nella loro unità indissolubile, e compie una rivalutazione dell'individuo nella sua interezza.

LE CARATTERISTICHE DELLA VOLONTà DI VIVERE

La volontà di vivere presenta caratteri opposti a quelli del mondo della rappresentazione. Innanzitutto essa è inconscia, una sorta di energia o impulso cieco, infatti la consapevolezza e l'intelletto sono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie.

In secondo luogo la volontà è unica, perché essendo al di là dello spazio e del tempo, non può essere “individuata” come un ente tra gli altri, non si può dire che sia in un certo punto o in un altro, in un certo momento o in un altro. L'unicità nella volontà nel tempo implica anche che essa è eterna e indistruttibile, cioè un principio senza inizio né fine.

Inoltre la volontà, essendo al di là della categoria di causa, è una forza libera e cieca, senza un motivo né uno scopo, un'energia incausata. Si possono rintracciare le ragioni delle sue particolari manifestazioni fenomeniche ma non della volontà in sé: la volontà vuole la volontà, nessuna meta oltre se stessa.

Gli esseri umani, animali e vegetali vivono per l'unica ragione di continuare a vivere. Questa è l'unica crudele verità del mondo, anche se gli uomini hanno cercato di trovare dei fini superiori per dare senso alle loro azioni, ad esempio mediante l'invenzione di Dio. L'unico assoluto che esiste è la volontà in se stessa, che infatti presenta gli stessi caratteri che gli umani da sempre hanno attribuito a Dio: è unica, eterna, incausata.

La volontà di vivere si manifesta nel mondo fenomenico attraverso due fasi logicamente distinguibili.

- Nella prima la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, a-spaziali e a-temporali, che Schopenhauer chiama “idee” e considera gli archetipi del mondo;

- Nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale che sono la proliferazione delle idee attraverso lo spazio e il tempo.

Come in Platone, tra individui e idee esiste un rapporto di copia-modello: i singoli enti sono delle riproduzioni di un unico modello originario, l'idea.

Il mondo naturale inoltre si struttura secondo una serie di gradi gerarchici in cui la volontà si oggettiva: il grado più basso è rappresentato dalle grandi forze della natura, i gradi superiori da vegetali e animali. L'apice della piramide è occupato dall'essere umano, in cui la volontà diviene pienamente consapevole, ottenendo la coscienza. Tuttavia, l'essere umano rispetto agli altri esseri non gode di sicurezza, infatti la ragione è una guida molto meno efficace dell'istinto. Per questo Schopenhauer lo definisce “animale malaticcio”.

IL PESSIMISMO

Dato che il mondo e gli esseri umani stessi sono manifestazione della volontà infinita, allora la vita è essenzialmente dolore. Infatti volere significa desiderare, ma desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione continua per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Il desiderio per definizione è mancanza, vuoto e quindi dolore. E siccome nell'essere umano la volontà è più cosciente, il desiderio è anche più forte e lacerante: l'uomo è il più bisognoso fra tutti gli esseri ed e destinato a non trovare mai un appagamento efficace e definitivo.

Ogni desiderio scaturisce da un'assenza, cioè da una sofferenza e l'appagamento mette fine temporaneamente ad essa, è breve e fugace, come “l'elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento”. Infatti è nell'essenza stessa del desiderio perpetuare se stesso. Inoltre, per ogni desiderio soddisfatto ne restano tanti altri inappagati: le esigenze sono infinite.

Pertanto, ciò che noi chiamiamo godimento fisico o gioia psichica non sono altro che momentanee cessazioni del dolore: ogni piacere deriva da una precedente condizione di sofferenza o tensione, fisica o psichica. Il piacere del bere, ad esempio, presuppone la sofferenza della sete e così via. Non è vero il contrario: il dolore non presuppone necessariamente il piacere, “non v'è rosa senza spine ma vi sono parecchie spine senza rose”.

è chiaro dunque che il dolore per Schopenhauer è un dato primario e permanente dell'esistenza, mentre il piacere è solo una condizione, estremamente fugace, derivata dal dolore, ha cioè un carattere “negativo”.

Schopenhauer individua poi una terza condizione fondamentale dell'esistenza umana, oltre al piacere e al dolore, cioè la noia. La noia subentra nella breve fase in cui il desiderio è appagato e “il possesso disperde l'attrazione” o quando cessano momentaneamente le attività e le preoccupazioni. La vita umana, afferma quindi Schopenhauer, è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso la breve illusione del piacere.

Il dolore è una costante nella vita, ciò che cambia è solo la forma che assume. Si può infatti manifestare come istinto sessuale, gelosia, invidia, odio, paura, avarizia, infermità… ma anche nelle passioni che riteniamo positive. Se non trova espressione in nessun'altra forma prende la strada della malinconia, che è l'aspetto esteriore della noia.

Dato che la volontà di vivere è tensione perennemente insoddisfatta (che il filosofo chiama “Sehnsucht”, aspirazione) ed essa permea tutte le cose, il dolore è caratteristico di ogni creatura, non solo dell'essere umano. Tutto soffre, dal fiore che appassisce, all'animale ferito, al bimbo che nasce. L'uomo soffre di più rispetto alle altre creature, ma solo perché possiede maggior consapevolezza e sente più forte la spinta della volontà e quindi l'insoddisfazione dei suoi desideri.

Per questo l'artista, l'intellettuale, il cosiddetto “genio”, è destinato a una sofferenza più intensa di quella provata dagli altri umani, poiché possiede maggior sensibilità e intelligenza. Schopenhauer è fermamente convinto che più un essere è intelligente, più soffre.

La vita è dunque sostanzialmente dolore, sebbene l'uomo tenda mascherarlo con delle apparenze ingannevoli di falso splendore: “sempre si cela ciò che soffre; mentre ciascuno, quanto più interna contentezza gli manca, tanto più desidera nell'opinione altrui passare per felice” (Il mondo come volontà e rappresentazione).

Il filosofo delinea così una delle forme più radicali di pessimismo cosmico della storia del pensiero: il male non soltanto è parte del mondo ma è il principio stesso da cui esso dipende. Testimonianza di questo dolore universale è la lotta crudele di tutte le cose: gli esseri del mondo possono esistere solo a scapito degli altri, divorandosi tra di loro per la propria autoconservazione, in un continuo di angoscia e tormenti.

In questo irrazionale conflitto perenne, l'individuo umano è solo uno strumento a servizio della specie. L'unico scopo della natura infatti è quello di perpetuare la vita, e quindi il dolore, attraverso la sopravvivenza delle specie.

Dimostrazione di questo è il fenomeno dell'amore. L'amore travolge e disturba, si impadronisce della mente umana rendendoci capaci di fare scelte irrazionali e compiere sacrifici prima impensabili. La forza di Cupido, “signore degli dei e degli uomini” si spiega con il “Genio della specie”, l'intelligenza della natura che mira solo a perpetuare la vita, e lo fa usando l'inganno dell'amore. Pertanto il fine dell'amore è solo l'accoppiamento, motivo per cui l'atto sessuale è risulta così piacevole. Mentre l'individuo crede di perseguire il suo godimento in piena autonomia, in realtà agisce da “zimbello della natura”.

Le prove di questa essenza prettamente biologica dell'amore sono il caso della mantide religiosa, che divora il maschio dopo l'atto sessuale, e persino il fatto che la donna, dopo la procreazione dei figli, perde bellezza e attrattiva.

E allora ci illudiamo che l'amore sia un sentimento nobile, ma in realtà è solo la veste dell'istinto sessuale con cui la specie porta avanti se stessa. In queste riflessioni Schopenhauer anticipa Freud e la psicanalisi: non c'è amore senza sessualità, che è la radice di un sentimento apparentemente etereo. L'amore oltretutto è il responsabile del maggiore dei delitti, la procreazione di creature destinate a loro volta a soffrire. Schopenhauer definisce così l'amore: “due infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara”.

Pertanto, l'unico amore da esaltare e ricercare non è quello erotico e generativo ma quello disinteressato della pietà.

LE VIE DELLA LIBERAZIONE DAL DOLORE

è possibile sfuggire a questa situazione di dolore universale? Schopenhauer afferma che l'esistenza, a causa del dolore che la costituisce, risulta tale che si impara poco per volta a non volerla. La soluzione però non è il suicidio. Schopenhauer rifiuta e condanna il suicidio per due motivi:

- esso non è un atto di negazione della volontà ma di forte affermazione della volontà stessa: il suicidia desidera profondamente la vita ma è infelice per le condizioni che gli sono toccate, quindi anziché negare la volontà egli nega la vita.

- esso sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà, cioè l'individuo in questione, e lascia intatta la cosa in sé, che continua a vivere in tutti gli altri individui.

Pertanto la risposta al dolore del mondo non deve essere l'eliminazione di una o più vite particolari ma la liberazione stessa dalla volontà di vivere.

Ma se la volontà rappresenta l'essenza dell'essere umano e il fondamento metafisico dell'universo, come può essere negata? Schopenhauer non offre una vera e propria teoria che dimostri questo passaggio, ma richiama l'attenzione sull'esistenza di individui eccezionali che hanno intrapreso il cammino della liberazione dalla volontà di vivere e da tutti i bisogni egoistici ad essa collegati. Con questi esempi, Schopenhauer vuole mostrare che la voluntas, quando arriva alla piena coscienza di sè, diventa noluntas, cioè negazione progressiva di sé stessa.

Il cammino di liberazione dell'individuo dalla tirannia della volontà inizia quindi dalla presa di coscienza del dolore in quanto intrinseco alla vita e dallo smascheramento delle illusioni del desiderio. Questo cammino si articola in tre momenti essenziali: l'arte, la morale, l'ascesi.

L'ARTE

L'arte per Schopenhauer è una conoscenza libera e disinteressata, a differenza di quella scientifica che è sottomessa ai bisogni della volontà. L'arte si rivolge, platonicamente, alle forme pure, ai modelli eterni delle cose. Nell'arte questo specifico amore, questo tormento, questa guerra diventano l'amore, il tormento, la guerra etc., nella loro essenza immutabile e universale.

Così, nella fruizione dell'arte, il soggetto che contempla l'opera diventa esso stesso soggetto universale del conoscere, “puro occhio del mondo” e non più individuo particolare e naturale. Solo il genio dell'artista, quindi, riesce a cogliere le essenze pure del mondo.

Proprio per questa sua capacità di accedere al mondo dell'eterno, l'arte è capace di sottrarre l'individuo dall'infinita catena di bisogni e desideri quotidiani, offrendo un appagamento compiuto, seppur temporaneo. Per questo motivo l'arte è catartica, purificatrice: grazie ad essa, l'essere umano contempla la vita, più che viverla, così si eleva al di sopra della volontà.

Dunque il piacere che l'arte procura produce la cessazione del bisogno, perché la conoscenza si svincola dalla volontà e si pone come contemplazione disinteressata.

Ma questa liberazione prodotta dall'arte è comunque temporanea, come un breve incantesimo. Può quindi rappresentare un conforto per gli esseri umani, ma l'autentica redenzione ha a che fare con altri orizzonti.

LA MORALE

Se la contemplazione estetica implica un estraniarsi dalla realtà, la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. Costituisce il tentativo concreto di superare l'egoismo della volontà e mettere fine a quel conflitto costante che contrappone gli individui generando ingiustizie e tormenti.

Come per Kant, secondo Schopenhauer la vera morale è disinteressata. Ma a differenza di Kant essa non viene da un imperativo dettato dalla ragione, ma da un'esperienza concreta che suscita un sentimento di pietà o com-passione, attraverso il quale sentiamo le sofferenze degli altri come fossero nostre e ci identifichiamo con loro. Non è sufficiente sapere che la vita è dolore ma bisogna anche sentirlo nel profondo del nostro essere: è la moralità a produrre la conoscenza, non viceversa.

Grazie alla pietà o compassione, possiamo sperimentare direttamente quell'unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia teorizza mediante i concetti. Ci fa capire che chi infligge dolore e chi lo prova sono la stessa realtà. Soltanto un'illusione spinge i malvagi a credere che siano separati dagli altri e dal loro dolore. Ogni atto di malvagità è un rinnegare l'unità primordiale degli esseri. Ogni atto di pietà è invece riconoscerla: un atto grazie al quale si vede oltre il velo di maya e oltre quel principium individuationis (spazio, tempo e causalità) attraverso cui gli enti appaiono moltiplicati.

La morale per Schopenhauer si concretizza in due virtù: la giustizia e la carità.

-la giustizia consiste nel non fare il male (quindi ha un carattere negativo) e nel riconoscere agli altri ciò che vogliamo gli altri riconoscano a noi.

-la carità (agàpe) si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare il bene. L'agàpe quindi è l'unico amore disinteressato e autentico: “ogni puro e sincero amore è pietà” (Il mondo come volontà e rappresentazione), a differenza dell'eros che invece è un falso amore in quanto egoistico e interessato. La pietà ai suoi massimi livelli consiste nel fare propria la sofferenza di tutti gli esseri senzienti e nell'assumere su di sé il dolore cosmico.

L'ASCESI

Tuttavia la pietà non è ancora la via per la liberazione definitiva: essa implica una morale disinteressata ma presuppone pur sempre un qualche attaccamento alla vita.

La liberazione totale dalla volontà di vivere si raggiunge solo con l'ascesi: una tecnica attraverso cui l'individuo riesce a cessare di volere la vita, a estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e volere.

Si tratta di mortificare la volontà deliberatamente: astenersi tutte le volte che si propone qualcosa di piacevole e ricercare lo spiacevole, attraverso diversi passaggi. Il primo gradino dell'ascesi è la castità perfetta che libera dall'impulso alla sessualità e alla generazione, la principale manifestazione della volontà di vivere. E poi l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l'auto-macerazione” (pratica volontaria di mortificazione del corpo) sono altre espressioni dell'ascetismo, tutte basate sulla rinuncia ai piaceri, che spezzano le catene della volontà. L'obiettivo è spegnere il desiderio, che equivale a spegnere la sofferenza.

Schopenhauer afferma che se anche solo un individuo riesce a vincere completamente la propria volontà di vivere questa sarebbe una vittoria sulla volontà nella sua interezza, dato che la volontà è infinita e unica. Pertanto, attraverso una liberazione radicale raggiunta da un singolo essere umano, il mondo intero può essere redento. L'unico autentico atto di libertà concesso all'essere umano è proprio la soppressione della volontà di vivere. Egli infatti è costantemente determinato dal mondo esterno e dal suo carattere, ma sopprimendo la cosa in sé può sottrarsi ai fattori che agiscono su di lui.

Questo cammino verso la liberazione dalla volontà e dal dolore ha come obiettivo quello di pervenire al nirvana buddista, l'esperienza della negazione del mondo. Nel buddismo, il concetto di nirvana indica uno stato di totale liberazione dal desiderio e dalla sofferenza, quindi di completa pace e serenità.

Si tratta di un punto molto critico della filosofia di Schopenhauer. Infatti è difficile credere che se la volontà rappresenta la struttura metafisica della realtà, essa possa essere annullata da un solo asceta. Si dovrebbe ammettere che la volontà, assoluta e infinita, a un certo punto non voglia più sé stessa

Inoltre la fuga ascetica della vita contrasta con l’ideale etico della compassione per le sofferenze del prossimo: porta a una visione passiva e rinunciataria dell'etica, togliendo valore all'impegno morale precedentemente esaltato.

Tuttavia, resta la potenza di una filosofia demistificatrice e di denuncia della realtà del dolore che rappresenta una delle analisi più lucide della storia del pensiero.

Crediti

Scritto dalla Prof.ssa Giulia Mochi

volume_3/schopenhauer/arthur_schopenhauer.txt · Ultima modifica: 2025/07/25 11:19 da luca