III MEDITAZIONE

 

1. Ora chiuderò gli occhi, turerò le orecchie, escluderò tutti i sensi ed eliminerò dal mio pensiero anche tutte le immagini delle cose corporee. Poiché questo si può fare a stento, quanto meno non ne terrò nessun conto, come se fossero vuote e false. Parlando solo con me e guardando più in profondità, cercherò di rendermi poco a poco più noto e familiare a me stesso. Io sono una cosa che pensa, cioè che dubita, afferma, nega, comprende poche cose e molte ne ignora, vuole, disvuole, ed immagina anche, e sente. Come infatti ho notato prima, sebbene quello che sento ed immagino fuori di me forse non sia nulla, tuttavia sono certo che quei modi di pensare — che, essendo solo dei modi di pensare, chiamo sensazioni e immaginazioni [35] — sono in me.

 

2. Con queste poche parole ho passato in rassegna tutto quello che so realmente, o almeno quello che ho avvertito di conoscere fino a questo momento. Ora osserverò con maggiore diligenza se, fino ad ora, per caso vi siano altre cose presso di me che non ho ancora scorto. Sono certo di essere una cosa che pensa. Forse dunque so anche che cosa è richiesto per essere certo di qualche cosa? In questa prima conoscenza, dunque, non vi è null'altro fuorché una chiara e distinta percezione di ciò che affermo; e questa certo non basterebbe per rendermi sicuro della verità della cosa, se mai mi potesse accadere che fosse falso ciò che pure abbia percepito in maniera così chiara e distinta; e quindi già mi sembra di poter stabilire, come regola generale, che è vero tutto ciò che concepisco in maniera molto chiara e distinta.

 

3. Eppure ho prima ammesso come del tutto certe e manifeste delle cose che mi sono reso conto essere dubbie. E quali sono state dunque queste cose? Certo la terra, il cielo, gli astri e tutte le altre cose di cui mi appropriavo per mezzo dei sensi. Che cosa dunque percepivo chiaramente di queste cose? Che le idee di tali cose, o piuttosto i pensieri, si aggiravano nella mia mente. Ma neppure ora metto in dubbio che quelle idee siano in me. Era però qualcosa di diverso quello che affermavo, e che anche per la consuetudine delle mie convinzioni ritenevo di scorgere chiaramente, ma che in realtà non percepivo; e cioè che vi fossero delle cose fuori di me dalle quali procedevano queste idee, cose in tutto simili a loro. Era in questo che mi sbagliavo. Se poi il mio giudizio era giusto, di sicuro ciò non mi accadeva per la forza della mia percezione.

 

4. E che? quando riguardo all’oggetto dell'aritmetica o della geometria [36] consideravo qualcosa sicuramente molto semplice e facile, come che due più tre fanno cinque, o cose simili, forse non le intuivo in maniera sufficientemente netta da poter affermare che fossero vere? Evidentemente ho giudicato di non poter dubitare di ciò solo perché mi veniva in mente che un qualche Dio avesse potuto instillare in me una tale natura da poter essere ingannato anche riguardo a ciò che sembrava assolutamente manifesto. Ma ogni qual volta mi viene in mente questa opinione prima concepita sulla somma potenza di Dio, non posso non ammettere che, se solo lo volesse, sarebbe facile per lui fare in modo che io cada in errore anche in ciò che ritengo di intuire con gli occhi della mente nella maniera più nitida. Ogni volta che mi volgo a quelle cose che ritengo di percepire con grande chiarezza, sono persuaso da esse in maniera così evidente che spontaneamente mi trovo ad affermare ad alta voce e con sicurezza: "Mi inganni pure chi può, tuttavia non farà mai in modo tale che io non sia nulla, finché penso di essere qualcosa; o che un giorno si possa dire che non sono mai esistito, mentre è vero che io sono; o forse anche che due più tre siano più o meno di cinque, o cose simili, cose che vedo chramente non poter essere diversamente da come le concepisco". E certo mentre non ho alcun motivo per considerare che vi sia un qualche Dio ingannatore, e ancora non so nemmeno con sufficiente certezza se vi sia un qualche Dio, per dubitare ho un motivo assai tenue e, per così dire, metafisico, che dipende soltanto da quella opinione. Perché venga eliminata anche quella, non appena si presenterà l'occasione, devo esaminare se Dio esista, e, se esiste, se possa essere un ingannatore; senza avere una conoscenza certa di ciò, infatti, non mi sembra di poter essere completamente certo di nessun’altra cosa.

 

5. Ma ora l'ordine delle argomentazioni sembra esigere che, per cominciare, io distribuisca tutti [37] i miei pensieri in generi determinati prima di ricercare in quali risieda propriamente la verità o la falsità. Alcuni di questi pensieri sono come delle immagini di cose alle quali sole conviene propriamente il nome di idea, come quando penso un uomo, una chimera, il cielo, un angelo o Dio; altri poi hanno anche altre forme: quando esprimo un atto di volontà, quando temo, quando affermo, quando nego, sempre concepisco una qualche cosa come soggetto del mio pensiero. Col pensiero, però, abbraccio anche qualcosa che va al di là della mera corrispondenza. Tra questi pensieri alcuni si chiamano atti di volontà, altri affezioni e altri giudizi.

 

6. Per quanto poi riguarda le idee, se saranno viste solo per se stesse e non le riferirò a qualcos'altro, non possono essere propriamente false perché, sia che immagini una capra o una chimera, non è meno vero che immagino l'una come l'altra. In effetti non vi è da temere nessuna falsità nella volontà o nelle affezioni giacché, quantunque io possa desiderare cose malvage o cose che non esistono, tuttavia non può non essere vero che io le desidero. E quindi rimangono solo i giudizi, nei quali mi devo guardare dallo sbagliare. D’altronde l'errore più rilevante e più frequente che si possa trovare in essi consiste in questo, che io giudichi le idee che sono in me simili o conformi a cose poste fuori di me. Infatti, se considerassi le stesse idee soltanto come modalità del mio pensiero e non le riferissi a null'altro, a stento potrebbero darmi una qualche occasione di errare.

 

7. Tra queste idee poi alcune sembrano innate, altre avventizie, [38] altre poi prodotte da me stesso; infatti mi sembra di non poter trarre da altro se non proprio dalla mia natura il comprendere cosa sia una cosa, cosa sia la verità, cosa sia il pensiero: che adesso io oda un rumore, che io veda il sole o avverta il calore del fuoco, finora ho ritenuto che questo derivasse da alcune cose poste fuori di me. Quanto poi alle sirene, agli ippogrifi e cose simili, esse sono raffigurate da me stesso. Forse posso anche stimarle tutte avventizie, o tutte innate, o tutte inventate da me; non ho ancora visto chiaramente la loro vera origine.

 

8. Ma qui bisogna investigare soprattutto su quelle idee che considero desunte da cose esistenti fuori di me: quale ragionamento mi induce a considerare tali idee corrispondenti a queste cose? Certo in primo luogo mi sembra che la natura mi insegni così. Inoltre constato che esse non dipendono dalla mia volontà, né da me stesso. Spesso infatti esse mi si presentano anche contro la mia volontà: per esempio sento il calore sia che lo voglia sia che non lo voglia, e quindi ritengo che quella sensazione o idea di calore giunga a me da una cosa diversa da me, cioè dal calore del fuoco vicino al quale sono seduto. Niente è più ovvio di questo: io giudico che è questa cosa e non qualcos'altro a immettere in me qualche cosa che le somiglia.

 

9. Vedrò ora se queste ragioni sono sufficientemente sicure. Quando affermo di essere ammaestrato dalla natura, in questo modo comprendo di essere portato a crederlo solo da un impeto spontaneo, e non che mi sia mostrato come vero da un qualche lume naturale. Ora queste due cose sono in grande contrasto tra loro, infatti tutto ciò che mi viene mostrato da un qualche lume naturale — ad esempio il fatto che proprio perché dubito ne consegue che io sono, e simili — in nessun modo può essere dubbio, perché non ci può essere nessun'altra facoltà nella quale possa confidare come in questo lume, e che possa mostrare che tutte queste cose non sono vere; ma quanto alle inclinazioni naturali, [39] già da gran tempo ho giudicato più volte che sono stato spinto da esse alla scelta peggiore quando si trattava di scegliere il bene, e non ho motivo di fidarmi ancora di esse in qualche altra cosa.

 

10. Quindi, sebbene quelle idee non dipendano dalla mia volontà, non è evidente che esse necessariamente procedano da cose poste fuori di me. Come infatti quelle inclinazioni di cui parlavo poco fa, sebbene siano in me, tuttavia appaiono diverse dalla mia volontà, così forse in me c’è anche una qualche altra facoltà non ancora da me abbastanza conosciuta, che provoca queste idee, come fino ad ora è sempre sembrato che esse si formino in me mentre sogno, e del tutto al di fuori di ogni contributo delle cose esterne.

 

11. Infine queste idee, per quanto procedano da cose diverse da me, non debbono essere necessariamente simili a questi oggetti. Ché anzi, in molti casi mi sembra di aver rilevato punti di vista molto diversi: ad esempio trovo in me due diverse idee di "sole", una come derivata dai sensi, che più di ogni altra deve essere annoverata tra le idee che ritengo avventizie, e che mi fa apparire il sole molto piccolo; un'altra desunta dai principi dell'astronomia, cioè derivata da alcune nozioni che sono innate in me (o da me prodotte in qualche altro modo) e che me lo fanno sembrare alquanto più grande della terra. Certo, non possono essere tutte e due equiparabili a quel medesimo sole che esiste fuori di me, e la ragione mi persuade che proprio quella che sembra essere derivata direttamente è la più difforme.

 

12. Tutto questo dimostra che sinora non in base [40] ad un giudizio sicuro, ma soltanto per un qualche cieco impulso, ho creduto che esistano alcune cose diverse da me, che facciano sorgere in me delle idee o la loro immagine attraverso gli organi di senso, o in qualche altro modo.

 

13. Ma mi viene ora in mente un'altra via per ricercare se alcune delle cose di cui sono in me le idee esistono fuori di me. Finché queste idee sono soltanto delle modalità di pensiero, non riconosco alcuna disuguaglianza tra di loro, e mi sembrano procedere tutte allo stesso modo; ma in quanto l'una mi rappresenta una cosa, l'altra un'altra, è chiaro che esse sono tra di loro molto diverse. Senza alcun dubbio, infatti, quelle che mi rappresentano delle sostanze sono qualcosa di più e, per così dire, hanno in sé più realtà oggettiva di quelle che rappresentano solo delle modalità o accidenti. Di nuovo quell’idea attraverso la quale concepisco un qualche sommo Dio, eterno, infinito, onnisciente, onnipotente e creatore di tutte le cose che esistono fuori di lui, quell’idea dico, ha certamente in sé più realtà oggettiva di quelle per mezzo delle quali vengono rappresentate le sostanze finite.

 

14. Già secondo il lume naturale è chiaro che nella causa efficiente e totale ci dev’essere almeno tanto quanto si riscontra nel suo effetto. Infatti l'effetto da dove mai potrebbe prendere la sua realtà, se non dalla causa? E la causa come potrebbe dargli questa realtà, se non l'avesse in sé? Da ciò dunque consegue che nulla può essere generato dal nulla, e neppure che ciò che è più perfetto, cioè che ha più realtà in sé, [41] può derivare da ciò che è meno perfetto. Questo non solo è evidentemente vero riguardo a quegli effetti la cui realtà è attuale o formale, ma anche riguardo a quelle idee in cui si considera soltanto la realtà oggettiva. Ad esempio una pietra che prima non esisteva non può cominciare ad esistere ora, se non è prodotta da qualcosa in cui vi sia tutto quello che formalmente o eminentemente è già nella pietra; né il calore può essere immesso in un soggetto che prima non era caldo se non da una cosa che sia di un ordine almeno tanto perfetto come è il calore, e così il resto. Inoltre non vi può essere in me un’idea di calore o di pietra, se non è posta in me da qualche causa nella quale almeno vi sia tanta realtà quanta ne concepisco nel calore o in una pietra. Infatti, per quanto questa causa non trasfonda niente della sua realtà attuale o formale nella mia idea, bisogna ritenere non che questa causa sia meno reale, ma che la natura della stessa idea debba essere tale da non esigere in sé nessun'altra realtà formale oltre a quella che viene tratta dal mio pensiero, di cui è una modalità.

 

15. Quanto poi al fatto che questa idea contenga l’una o l’altra realtà oggettiva, ciò sicuramente lo deve derivare da qualche causa nella quale come minimo vi sia tanto di realtà formale quanto essa ne contiene di oggettiva. Se infatti ammettiamo che nell'idea si trova qualcosa che non è nella causa, questo "qualcosa" lo deriverebbe dal nulla. Eppure, per quanto sia imperfetto questo modo di essere per cui la cosa esiste oggettivamente nell'intelletto per mezzo dell'idea, tuttavia sicuramente è qualcosa, e quindi non può derivare dal nulla. Non debbo nemmeno pretendere che, siccome la realtà che considero nelle mie idee è soltanto oggettiva, non sia necessario [42] che la stessa realtà sia formalmente nelle cause di queste idee: deve bastarmi che si trovi in esse anche oggettivamente. Infatti come questo modo d’essere oggettivo appartiene alle idee secondo la loro natura, così il modo d’essere formale appartiene alle cause delle idee, almeno alle prime e alle più importanti, secondo la loro natura. E sebbene forse un’idea possa nascere da un'altra, tuttavia qui non si dà un processo all'infinito, ma si deve giungere a qualche prima idea la cui causa abbia la forza di un archetipo in cui ogni realtà che si trova nell'idea solo oggettivamente, vi sia contenuta anche formalmente. Cosicché per il lume naturale mi è chiarissimo che le idee sono in me come immagini che possono facilmente decadere dalla perfezione delle cose dalle quali sono desunte, ma certo non possono contenere qualcosa di più grande e di più perfetto.

 

16. Quanto più a lungo e con quanta maggiore curiosità esamino tutte queste cose, con tanta maggiore chiarezza e distinzione riconosco che sono vere. Ma quale conclusione posso trarre da tutto ciò? Certo se la realtà oggettiva di qualcuna delle mie idee è tale che io sia certo che essa non è in me né formalmente né eminentemente (di modo che io non posso esserne la causa), da ciò necessariamente consegue che io non sono solo nel mondo, ma che esiste anche qualche altra cosa che è la causa di questa idea. Se invece non si trova in me nessuna idea che abbia tali caratteristiche, non avrò certamente nessun argomento che mi renda certo dell'esistenza di qualcosa al di là di me. Ho infatti esaminato con somma diligenza tutto, e non ho potuto trovare fino ad ora null'altro.

 

17. Tra le mie idee poi, all'infuori di quella che mi rappresenta a me stesso, riguardo alla quale qui non vi può essere nessuna difficoltà [43], un'altra è quella che rappresenta Dio, altre che rappresentano le cose corporee e inanimate, gli angeli, gli animali, ed infine altre che rappresentano altri uomini simili a me.

 

18. Quanto alle idee che rappresentano altri uomini, o animali, o angeli, comprendo chiaramente che possono essere composte da quelle che ho di me stesso, delle cose corporee e di Dio, e questo avverrebbe anche se nel mondo non vi fossero altri uomini oltre a me, né animali, né angeli.

 

19. Quanto poi alle idee delle cose corporee, non si trova nulla in esse di così grande rilievo da non sembrare che possano derivare da me stesso; ed infatti qualora osservi con maggiore profondità ed consideri le singole idee nel modo in cui ieri ho esaminato l'idea della cera, mi accorgo che vi sono solo pochi aspetti che in esse percepisco in maniera chiara e distinta: cioè la grandezza — estensione in lunghezza, larghezza e profondità; la figura, che nasce dal limite di questa estensione; il luogo, che i corpi aventi diverse figure occupano l'uno rispetto all'altro, ed il moto, cioè la mutazione di questo luogo; ad esse si possono aggiungere la sostanza, la durata ed il numero; il resto poi, come la luce, i colori, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo e il freddo, e le altre qualità sottoposte al tatto non sono contenute nel mio pensiero se non in maniera molto confusa ed oscura, cosicché ignoro addirittura se siano vere o false, cioè se le idee, che ho di esse, siano idee di alcune cose o di non-cose. Sebbene infatti abbia fatto notare poco fa che la falsità propriamente detta, o formale, non si può trovare se non nei giudizi, c'è tuttavia sicuramente una qualche altra falsità materiale nelle idee, quando rappresentano ciò che non esiste come se fosse qualcosa; così, ad esempio, le idee che ho del calore e del freddo sono tanto poco chiare e distinte [44], che da esse non posso sapere se il freddo sia soltanto una privazione di calore, o il caldo una privazione del freddo, o se ambedue siano una qualità reale, o nessuna delle due. Dal momento che non ci può essere idea se non delle cose, seppure è vero che il freddo non è null'altro che privazione di calore, ben a ragione sarà giudicata falsa l'idea che me lo rappresenta come qualcosa di reale e positivo,e questo vale anche per le altre idee.

 

20. Non è necessario che assegni a queste idee un autore diverso da me; infatti, se anche sono false, e cioè non rappresentano alcuna cosa, per il lume naturale mi è noto che derivano dal nulla; cioè che sono in me perché manca qualcosa alla mia natura, non del tutto perfetta; se poi sono vere, poiché tuttavia mi rappresentano così poco di realtà, che non possono nemmeno essere distinte da ciò che non esiste, non vedo perché non possano essere generate da me stesso.

 

21. Quanto alle cose che sono chiare e distinte nelle idee relative alla realtà corporea, mi sembra che alcune posso averle derivate dall'idea di me stesso, cioè la sostanza, la durata, il numero e se ve ne sono altre di uguale tipo. Quando penso infatti che la pietra è una sostanza — ossia una cosa che è adatta ad esistere di per sé — e anche io sono una sostanza, sebbene comprenda che io sono una cosa che pensa e non una cosa estesa, mentre la pietra è una cosa estesa e che non pensa, e quindi che massima è la diversità tra l'uno e l'altro concetto, tuttavia sembrano appartenere al tipo della sostanza. Allo stesso modo, quando comprendo che ora esisto, e mi ricordo di essere esistito anche prima per un certo tempo; quando ho vari pensieri dei quali comprendo il numero, acquisisco [45] le idee di durata e di numero, che poi posso applicare a qualsiasi altra cosa. Tutte le altre cose poi dalle quali sono formate le idee della realtà corporea, cioè l'estensione, la figura, il luogo ed il moto, non sono contenute formalmente in me, dal momento che io non sono nient'altro che una cosa che pensa; ma poiché esse sono soltanto alcune modalità della sostanza, ed io sono una sostanza, sembra che possano essere contenute in me eminentemente.

 

22. E quindi rimane la sola idea di Dio, nella quale si deve considerare se vi sia qualcosa che non abbia potuto procedere da me. Col nome di Dio intendo una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente, dalla quale sia io stesso, sia ogni altra cosa esistente — se pure c'è qualcos'altro — siamo stati creati. Tutte queste cose sono tali che, quanto più diligentemente le esamino, tanto meno mi sembrano partire da me solo. E quindi in base a ciò che si è detto prima si deve necessariamente concludere che Dio esiste.

 

23. Sebbene certo vi sia in me l'idea di una sostanza per il fatto stesso che sono una sostanza, tuttavia non potrebbe esserci l'idea di una sostanza infinita, dal momento che sono finito, se non derivasse da qualche sostanza realmente infinita.

 

24. Né debbo ritenere di concepire l'infinito non per mezzo della sua vera idea, ma soltanto dalla negazione del finito, come percepisco la quiete e le tenebre attraverso la negazione del moto e della luce; al contrario, comprendo chiaramente che vi è più realtà nella sostanza infinita che in quella finita, e quindi in un certo senso la comprensione dell'infinito in me viene prima del finito, cioè quella di Dio prima di quella di me stesso. In quale modo infatti potrei comprendere di dubitare [46], di desiderare, cioè avvertire che mi manca qualcosa, e capire che io non sono del tutto perfetto, se non ci fosse in me l'idea di un ente più perfetto, dal cui confronto potrei avvertire i miei difetti?

 

25. Non si può nemmeno dire che questa idea di Dio sia forse falsa materialmente e che perciò possa procedere dal nulla, come poco fa ho constatato circa le idee di calore e di freddo, e simili; al contrario, essendo al massimo grado chiara e distinta, ed avendo più realtà oggettiva di alcun'altra, nessuna è più vera di per sé stessa, né esiste nessuna nella quale si trovi un minore sospetto di falsità. Questa idea di un ente sommamente perfetto ed infinito — affermo — è vera al massimo grado; anche se si può immaginare che quest'ente non esista, tuttavia non si può immaginare che l'idea di esso non mi rappresenti niente di reale, come ho detto prima dell'idea del freddo. è anche sommamente chiara e distinta; infatti tutto ciò che concepisco in maniera chiara e distinta, che è reale e vero, e che comporta in sé una qualche perfezione, è tutto contenuto in essa. Non vi è poi un ostacolo nel fatto che io non comprenda l'infinito, o che in Dio vi siano altre cose innumerevoli, che non posso comprendere, e forse nemmeno raggiungere in nessun modo col pensiero; fa parte infatti della natura dell'infinito il non poter essere compreso da me, che sono finito. È sufficiente che io comprenda proprio questa cosa, e la giudichi,: che tutte le cose che concepisco in maniera chiara, e che comprendono -- questo io so -- in sé qualche perfezione, ed anche forse altre innumerevoli perfezioni che ignoro, o formalmente o eminentemente si trovano in Dio, perché l'idea che ho di lui sia la più vera, la più chiara e distinta di tutte quelle che sono in me.

 

26. Ma forse io sono qualosa di più grande di quello che io stesso comprendo, e tutte quelle perfezioni che attribuisco a Dio, in qualche modo sono in me in potenza, anche se non si sprigionano [47] e non si manifestano in atto. Infatti provo la sensazione che già la mia conoscenza a poco a poco si ingrandisce; né vedo quale ostacolo vi sia al fatto che più e più cresca all'infinito, e neanche perché, essendo così aumentata la mia conoscenza, non possa col suo aiuto raggiungere tutte le altre perfezioni di Dio; né infine perché la potenza che permette di raggiungere queste perfezioni, se già è in me, non basti a produrne l'idea.

 

27. Eppure nessuna di queste ipotesi è valida. In primo luogo, sebbene sia vero che la mia conoscenza aumenti gradatamente, e che vi siano in me molte cose in potenza che non sono ancora in atto, tuttavia nessuna di esse riguarda l'idea di Dio, nella quale certo nulla in nessun modo è in potenza; ed infatti questa stessa cosa, cioè aumentare gradatamente, è una prova certissima di imperfezione. Inoltre, sebbene la mia conoscenza aumenti sempre e sempre più, tuttavia comprendo che mai diventerà infinita in atto, perché non arriverà mai a tal punto che non sia capace di un maggiore accrescimento; invece giudico che Dio sia così infinito nell'atto, che nulla si possa aggiungere alla sua perfezione. Infine comprendo che l'essere oggettivo di una idea non deriva da un solo essere in potenza, che propriamente parlando non è nulla, ma può essere prodotta solo da un essere attuale o formale.

 

28. Sicuramente non vi è qualcosa in tutte queste cose, che, per chi le esamini diligentemente, non sia manifesto per lume naturale; ma poiché, quando sono meno attento, e le immagini delle cose sensibili rendono cieco l'acume della mente, non mi ricordo così facilmente perché l'idea di un ente più perfetto di me necessariamente proceda da qualche ente che sia realmente più perfetto e mi piace ricercare più in profondità [48] se io stesso che ho quell'idea potrei esistere, anche se non esistesse in alcun modo tale ente.

 

29. Da chi dunque derivo il mio essere? Da me evidentemente, o dai miei genitori, o da qualsivoglia altra causa meno perfetta di Dio; infatti non si può pensare o immaginare qualcosa di più perfetto o anche di ugualmente perfetto.

 

30. Eppure, se dipendessi da me, non dubiterei, né proverei desideri, né in ogni modo mi mancherebbe qualcosa; infatti mi darei tutte le perfezioni delle quali è in me qualche idea, e così per me stesso sarei Dio. Né debbo ritenere che forse sia più difficile acquisire ciò che mi manca, piuttosto che ciò che è già in me. Al contrario è chiaro quanto sia stato di gran lunga più difficile che io, cioè una cosa o una sostanza pensante, sia emerso dal nulla, piuttosto che abbia acquisito le conoscenze di molte cose che ignoro, le quali sono soltanto accidenti di questa sostanza. Certo, se avessi potuto derivare da me quella cosa che è la più importante, non mi sarei privato certamente di quelle cose che si possono avere più facilmente, e neppure alcun'altra cosa tra quelle che comprendo trovarsi nell'idea di Dio; poiché certo nessun'altra cosa mi sembra più difficile a realizzarsi. Se poi alcune cose fossero più difficili a farsi, certo mi sembrerebbero anche più difficili, se pure derivassi da me le altre qualità che posseggo, poiché proverei sicuramente che in esse trova il suo limite la mia potenza.

 

31. E non sfuggo la forza di questi ragionamenti, se suppongo di essere sempre stato come sono ora, come se da questo ne conseguisse che non si deve ricercare nessun autore della mia esistenza. Ogni tempo della vita [49] può essere diviso in parti innumerevoli, delle quali ciascuna non dipende in nessun modo dalle altre. Quindi dal fatto che poco fa io sia esistito non ne consegue che debba esistere ora, se non perché qualche causa mi crei quasi di nuovo in questo momento, cioè mi conservi. E' chiarissimo infatti, per chi sta attento alla natura del tempo, che c'è bisogno assolutamente della stessa forza e azione per conservare qualsiasi sostanza per i singoli momenti nei quali dura, che sarebbe necessaria per crearla di nuovo, se non esistesse ancora; in maniera tale che il fatto che la conservazione differisca dalla creazione solo in base al nostro modo di pensare, è anche una delle cose che sono manifeste secondo il lume naturale.

 

32. Ora devo interrogare me stesso, se io abbia una qualche forza per la quale possa fare in modo che tra poco possa essere quello che sono già ora; infatti dal momento che non sono altro che una cosa che pensa, o almeno poiché ora tratto soltanto di quella parte di me che è una cosa che pensa, se una qualche forza di tal genere fosse in me, sarei conscio di ciò al di fuori di ogni dubbio. Ma sono sicuro che non ve ne è nessuna, e da questo comprendo nella maniera più evidente che debbo dipendere da qualche ente diverso da me.

 

33. Ma forse quell'ente non è Dio, e sono stato fatto o dai miei genitori, o da qualsiasi altra causa meno perfetta di Dio. Eppure, come ho già detto, è chiarissimo che almeno tanta realtà vi deve essere nella causa quanta c'è nell'effetto; e quindi dal momento che sono una cosa che pensa, e che ho in me una qualche idea di Dio, qualunque causa infine venga attribuita alla mia natura, debbo ammettere che anche essa sia una cosa pensante, e che abbia l'idea di tutte le perfezioni che attribuisco a Dio. Di nuovo quindi si può investigare riguardo ad essa, se sia causata da se stessa o da un'altra causa. Se è causata da sé, è evidente da ciò che abbiamo detto che essa stessa è Dio, poiché certo, [50] dal momento che ha la capacità di esistere di per se stessa, al di fuori di ogni dubbio ha anche la forza di possedere in atto tutte le perfezioni di cui ha in sé l'idea, cioè tutte quelle che concepisco essere in Dio. Qualora poi derivi da un'altra, di nuovo allo stesso modo si investigherà su quest'altra, qualora derivi da sé, o da un'altra causa, finché alla fine si giunga alla causa ultima, che sarà Dio.

 

34. Infatti è abbastanza evidente che qui non si può verificare nessun progresso all'infinito, soprattutto per il fatto che non tratto qui soltanto della causa che un tempo mi ha prodotto, ma soprattutto anche di quella che nel tempo presente mi conserva.

 

35. E non si può immaginare che per caso delle cause parziali abbiano concorso a produrmi, e dall'una abbia preso l'idea di una delle perfezioni che attribuisco a Dio, da un'altra l'idea di un'altra, cosicché certo tutte quelle perfezioni si trovino in qualche altro luogo dell'universo, ma non tutte congiunte insieme in un solo essere, che sia Dio. Infatti al contrario l'unità, la semplicità, o piuttosto la inseparabilità di tutte quelle cose che sono in Dio, è una delle massime perfezioni che considero essere in lui. Né certo l'idea di questa unità di tutte le sue perfezioni potè essere posta in me da una causa.diversa da quella da cui non abbia parimenti avuto anche le idee delle altre perfezioni. Né infatti avrebbe potuto fare in modo che le comprendessi insieme congiunte ed inseparabili, se non avesse fatto nello stesso tempo in modo che potessi capire quali esse siano.

 

36. Quanto poi ai genitori, sebbene siano tutte vere quelle cose che mai abbia potuto pensare di loro, tuttavia certo essi non mi conservano, né in nessun modo mi hanno fatto, in quanto cosa pensante; ma hanno posto soltanto delle disposizioni in quella materia in cui ho giudicato [51] che fossi inserito io, cioè la mente: quando parlo di me, intendo proprio essa. Quindi non vi può essere nessuna difficoltà a questo riguardo; ma bisogna ad ogni modo concludere che per il solo fatto che esisto, e che una qualche idea di un essere perfettissimo è in me, cioè l'idea di Dio, si può dimostrare in maniera evidentissima che anche Dio esiste.

 

37. Rimane solo da esaminare in quale modo abbia ricevuto questa idea da Dio; ed infatti non l'ho derivata dai sensi, né mai mi è venuta senza che me lo aspettassi, come sogliono venire le idee delle cose sensibili, quando queste cose si presentano agli organi esterni dei sensi, o sembrano venire in mente; non è creatura della mia mente, ed infatti non è in mio potere togliervi né aggiungervi assolutamente alcuna cosa; e quindi non può che essermi innata, allo stesso modo che è innata in me l'idea di me stesso.

 

38. Certo non c'è da stupirsi che Dio, creandomi, mi abbia immesso quell'idea, perché fosse come un sigillo impresso dall'artefice alla sua opera; e neanche è necessario che quel modello sia qualcosa di diverso dalla stessa opera. Ma per il solo fatto che Dio mi ha creato, è fortemente credibile che io in qualche modo sia stato fatto ad immagine e somiglianza di lui, e che quella somiglianza in cui è contenuta l'idea di Dio, sia compresa da me attraverso la stessa facoltà, con la quale io concepisco me stesso; cioè, mentre rivolgo l'acutezza della mente verso me stesso, non solo comprendo di essere una cosa incompleta e che dipende da un altro, e una cosa che aspira senza fine a cose via via più grandi e migliori; ma nello stesso tempo anche comprendo che colui dal quale dipendo ha in sé queste qualità più grandi non in maniera indefinita e soltanto in potenza, ma in realtà le ha in sé in maniera infinita e quindi è Dio. E tutta la forza dell'argomento consiste in questo, che mi rendo conto che non può accadere [52] che io esista con una natura tale quale sono, e cioè con in me l'idea di Dio, se Dio non esistesse in realtà, Dio, dico, quello stesso di cui è in me l'idea, cioè colui che ha tutte quelle perfezioni, che io non posso comprendere, ma posso in qualunque modo raggiungere col pensiero, e che non è passibile di nessun difetto. Da tuttte queste considerazioni è evidente che egli non può essere fallace; ed infatti è manifesto in base al lume naturale che ogni frode ed inganno dipende da qualche difetto.

 

 

39. Ma prima di esaminare ciò con maggiore diligenza, e nello stesso tempo di fare ricerche su altre verità che possono essere desunte da ciò, mi piace qui per un certo tempo fermarmi nella contemplazione dello stesso Dio, considerare nel mio intimo i suoi attributi, e guardare, ammirare e adorare la bellezza di questa immensa luce, per quanto lo possa sopportare l'acume del mio ingegno che si offusca. Come infatti crediamo per fede che la somma felicità dell'altra vita consista in questa sola contemplazione della divina maestà, così anche sperimentiamo di poter ricevere il massimo piacere, del quale siamo capaci in questa vita, dalla stessa contemplazione, sebbene molto meno perfetta.