DIALOGO
TERZO
INTERLOCUTORI
Liberio,
Laodonio
Liberio
Posando sotto l'ombra d'un cipresso il furioso, e trovandosi l'alma intermittente
da gli altri pensieri (cosa mirabile), avvenne che (come fussero animali
e sustanze de distinte raggioni e sensi) si parlassero insieme il core
e gli occhi, l'uno de l'altro lamentandosi come quello che era principio
di quel faticoso tormento che consumava l'alma.
Laodonio
Dite, se vi ricordate, le raggioni e le paroli.
Liberio
Cominciò il dialogo il core, il qual, facendosi udir dal petto, proruppe
in questi accenti:
Prima
proposta del core a gli occhi.
Come,
occhi miei, sì forte mi tormenta
Quel che da voi deriva ardente foco,
Ch'al mio mortal suggetto mai allenta
Di serbar tal incendio, ch'ho per poco
L'umor dell'Oceàn e di più lenta
Artica stella il più gelato loco,
Perché ivi in punto si reprima il vampo,
O al men mi si prometta ombra di scampo?
Voi mi fêste cattivo
D'una man che mi tiene, e non mi vuole;
Per voi son entro al corpo, e fuor col sole;
Son principio de vita, e non son vivo;
Non so quel che mi sia,
Ch'appartegno a quest'alma, e non è mia.
Laodonio Veramente l'intendere, il vedere, il conoscere è quello
che accende il desio, e per consequenza, per ministerio de gli occhi,
vien infiammato il core: e quanto a quelli fia presente più alto e degno
oggetto, tanto più forte è il foco e più vivaci son le fiamme. Or qual
esser deve quella specie per cui tanto si sente acceso il core, che non
spera che temprar possa il suo ardore tanto più fredda quanto più lenta
stella che sia conchiusa nell'artico cerchio, né rallentar il vampo l'umor
intiero de l'Oceano? Quanta deve essere l'eccellenza di quello oggetto
che l'ha reso nemico de l'esser suo, rubello a l'alma propria, e contento
di tal ribellione e nemicicia, quantunque sia cattivo d'una man che 'l
dispreggia e non lo vuole? Ma fatemi udire se gli occhi risposero e che
cosa dissero.
Liberio
Quelli, per il contrario, si lagnavano del core, come quello che era
principio e caggione per cui versassero tante lacrime. Però a l'incontro
gli proposero in questo tenore:
Prima
proposta de gli occhi al core.
Come
da te sorgon tant'acqui, o core,
Da quante mai Nereidi alzar la fronte
Ch'ogni giorno al bel sol rinasce e muore?
A par de l'Anfitrite il doppio fonte
Versar può sì gran fiumi al mondo fore,
Che puoi dir che l'umor tanto surmonte,
Che gli fia picciol rio chi Egitto inonda,
Scorrend'al mar per sette doppia sponda.
Dié natura doi lumi
A questo picciol mondo per governo;
Tu, perversor di quell'ordin eterno,
Le convertiste in sempiterni fiumi.
E questo il ciel non cura,
Ché il natìo passa, e 'l violento dura.
Laodonio Certo ch'il cor acceso e compunto fa sorger lacrime da
gli occhi, onde, come quelli accendeno le fiamme in questo, quest'altro
viene a rigar quelli d'umore. Ma mi maraviglio de sì forte exaggerazione,
per cui dicono che le Nereidi non alzano tanto bagnata fronte a l'oriente
sole, quanta possa appareggiar queste acqui. Ed oltre agguagliansi all'Oceano,
non perché versino, ma perché versar possano questi doi fonti fiumi tali
e tanti, che, computato a loro, il Nilo apparirebbe una picciola lava
distinta in sette canali.
Liberio
Non ti maravigliar della forte exaggerazione e di quella potenza priva
de l'atto; perché tutto intenderete dopo intesa la conchiusione de raggionamenti
loro. Or odi come prima il core risponde alla proposta de gli occhi.
Laodonio
Priegovi, fatemi intendere.
Liberio
Prima
risposta del core a gli occhi.
Occhi,
s'in me fiamma immortal s'alluma,
Ed altro non son io che fuoco ardente,
Se quel ch'a me s'avvicina s'infuma,
E veggio per mio incendio il ciel fervente;
Come il gran vampo mio non vi consuma,
Ma l'effetto contrario in voi si sente?
Come vi bagno, e più tosto non cuoco,
Se non umor, ma è mia sustanza fuoco?
Credete, ciechi voi,
Che da sì ardente incendio derivi
El doppio varco, e que' doi fonti vivi
Da Vulcan abbian gli elementi suoi,
Come tal volt'acquista
Forza un contrario, se l'altro resista?
Vede, come non possea persuadersi il core di posser da contraria causa
e principio procedere forza di contrario effetto, sin a questo che non
vuol affirmare il modo possibile, quando per via d'antiperistasi, che
significa il vigor che acquista il contrario da quel che, fuggendo l'altro,
viene ad unirsi, inspessarsi, inglobarsi e concentrarsi verso l'individuo
della sua virtude, la qual, quanto più s'allontana dalle dimensioni, tanto
si rende efficace di vantaggio.
Laodonio
Dite ora come gli occhi risposero al core.
Liberio
Prima
risposta de gli occhi al core.
Ahi,
cor, tua passion sì ti confonde,
Ch'hai smarrito il sentier di tutt'il vero.
Quanto si vede in noi, quanto s'asconde,
E semenza de' mari; onde l'intero
Nettun potrà ricovrar non altronde,
Se per sorte perdesse il grand'impero;
Come da noi deriva fiamma ardente,
Che siam del mare il gemino parente?
Sei sì privo di senso,
Che per noi credi la fiamma trapasse,
E tant'umide porte a dietro lasse,
Per far sentir a te l'ardor immenso?
Come splendor per vetri,
Crederai forse che per noi penétri?
Qua non voglio filosofare circa la coincidenza de contrarii, de la quale
ho studiato nel libro De principio ed uno; e voglio supponere quello che
comunmente si suppone, che gli contrarii nel medesimo geno son distantissimi,
onde vegna più facilmente appreso il sentimento di questa risposta, dove
gli occhi si dicono semi o fonti, nella virtual potenza de quali è il
mare; di sorte che, se Nettuno perdesse tutte l'acqui, le potrebbe richiamar
in atto dalla potenza loro, dove sono come in principio agente e materiale.
Però non metteno urgente necessità, quando dicono non posser essere che
la fiamma per la lor stanza e cortile trapasse al core con lasciarsi tant'acqui
a dietro, per due caggioni: prima perché tal impedimento in atto non può
essere, se non posti in atto tali oltraggiosi ripari; secondo perché,
per quanto l'acqui sono attualmente ne gli occhi, possono donar via al
calore come alla luce; essendo che l'esperienza dimostra che senza scaldar
il specchio viene il luminoso raggio ad accendere per via di reflessione
qualche materia che gli vegna opposta; e per un vetro, cristallo, o altro
vase pieno d'acqua, passa il raggio ad accendere una cosa sottoposta senza
che scalde il spesso corpo tramezzante: come è verisimile ed anco vero
che caggione secche ed aduste impressioni nelle concavitadi del profondo
mare. Talmente per certa similitudine, se non per raggioni di medesimo
geno, si può considerare come sia possibile che per il senso lubrico ed
oscuro de gli occhi possa esser scaldato ed acceso di quella luce l'affetto,
la quale secondo medesima raggione non può essere nel mezzo. Come la luce
del sole, secondo altra raggione, è nell'aria tramezzante, altra nel senso
vicino ed altra nel senso commune ed altra ne l'intelletto, quantunque
da un modo proceda l'altro modo di essere.
Laodonio
Sonvi altri discorsi?
Liberio
Sì; perché l'uno e l'altro tentano di saper con qual modo quello contegna
tante fiamme, e quelli tante acqui. Fa, dunque, il core la seconda proposta:
Seconda
proposta del core.
S'al
mar spumoso fan concorso i fiumi,
E da fiumi del mar il cieco varco
Vien impregnato: ond'è che da voi, lumi,
Non è doppio torrente al mondo scarco,
Che cresca il regno a gli marini numi,
Scemando ad altri il glorioso incarco?
Perché non fia che si vegga quel giorno,
Ch'a i monti fa Deucalion ritorno?
Dove gli rivi sparsi?
Dove il torrente che mia fiamma smorze,
O per ciò non posser, più la rinforze
Goccia non scende a terra ad inglobarsi,
Per cui fia ch'io non pensi
Che sia cossì, come mostrano i sensi?
Dimanda: qual potenza è questa che non si pone in atto? Se tante son l'acqui,
perché Nettuno non viene a tiranneggiar su l'imperio de gli altri elementi?
Ove son gli inondanti rivi? Ove chi dia refrigerio al fuoco ardente? Dove
è una stilla onde io possa affirmar de gli occhi quel tanto che niegano
i sensi? - Ma gli occhi di pari fanno un'altra dimanda:
Seconda
proposta de gli occhi al core.
Se
la materia convertita in foco
Acquista il moto di lieve elemento,
E se ne sale a l'eminente loco,
Onde avvien che, veloce più che vento,
Tu ch'incendio d'amor senti non poco,
Non ti fai gionto al sole in un momento?
Perché soggiorni peregrino al basso,
Non t'aprendo per noi e l'aria il passo?
Favilla non si scorge
Uscir a l'aria aperto da quel busto,
Né corpo appar incenerit'o adusto,
Né lacrimoso fumo ad alto sorge:
Tutt'è nel proprio intiero,
Né di fiamma è raggion, senso o pensiero.
Laodonio Non ha più né meno efficacia questa che quell'altra proposta.
Ma vengasi presto alle risposte, se vi sono.
Liberio
Vi son certamente e piene di succhio. Udite:
Seconda
risposta del core a gli occhi.
Sciocco
è colui che sol per quanto appare
Al senso ed oltre a la raggion non crede:
Il fuoco mio non puote alto volare,
E l'infinito incendio non si vede,
Perché de gli occhi han sopraposto il mare,
E un infinito l'altro non eccede:
La natura non vuol ch'il tutto pera,
Se basta tanto fuoco a tanta sfera.
Ditemi, occhi, per Dio,
Qual mai partito prenderemo noi,
Onde far possa aperto o io, o voi,
Per scampo suo, de l'alma il fato rio,
Se l'un e l'altro ascoso
Mai potrà fargli il bel nume piatoso?
Laodonio Se non è vero, è molto ben trovato: se non è cossì, è
molto bene iscusato l'uno per l'altro; se, stante che dove son due forze,
de quali l'una non è maggior de l'altra, bisogna che cesse l'operazion
di questa e quella, essendo che tanto questa può resistere quanto quella
insistere; non meno quella ripugna che possa oppugnar questa: se dunque
è infinito il mare ed inmensa la forza de le lacrime che sono ne gli occhi,
non faranno giamai ch'apparir possa favillando o isvampando l'impeto del
fuoco ascoso nel petto; né quelli mandar potranno il gemino torrente al
mare, se con altretanto di vigore gli fa riparo il core. Però accade che
il bel nume per apparenza di lacrima che stille da gli occhi, o favilla
che si spicche dal petto, non possa esser invitato ad esser piatoso a
l'alma afflitta.
Liberio
Or notate la conseguente risposta de gli occhi:
Seconda
risposta de gli occhi al core.
Ahi,
per versar a l'elemento ondoso,
L'émpito de noi fonti al tutt'è casso;
Ché contraria potenza il tien ascoso,
Acciò non mande a rotilon per basso.
L'infinito vigor del cor focoso
A i pur tropp'alti niega il passo;
Quindi gemino varco al mar non corre,
Ch'il coperto terren natura aborre.
Or dinne, afflitto core,
Che puoi opporti a noi con altre tanto
Vigor: chi fia giamai che porte il vanto
D'esser precon di sì 'nfelice amore,
S'il tuo e nostro male
Quant'è più grande, men mostrarsi vale?
Per essere infinito l'un e l'altro male, come doi ugualmente vigorosi
contrarii si ritegnono, si supprimeno; e non potrebbe esser cossì, se
l'uno e l'altro fusse finito, atteso che non si dà equalità puntuale nelle
cose naturali, né ancora sarebbe cossì, se l'uno fusse finito e l'altro
infinito; ma certo questo assorbirebbe quello, ed avverrebe che si mostrarebbono
ambi doi o al men l'uno per l'altro. Sotto queste sentenze, la filosofia
naturale ed etica che vi sta occolta, lascio cercarla, considerarla e
comprenderla a chi vuole e puote. Sol questo non voglio lasciare, che
non senza raggione l'affezion del core è detta infinito mare dall'apprension
de gli occhi. Perché essendo infinito l'oggetto de la mente, ed a l'intelletto
non essendo definito oggetto proposto, non può essere la volontade appagata
de finito bene; ma se oltre a quello si ritrova altro, il brama, il cerca,
perché (come è detto commune) il summo della specie inferiore è infimo
e principio della specie superiore, o si prendano gli gradi secondo le
forme le quali non possiamo stimar che siano infinite, o secondo gli modi
e raggioni di quelle, nella qual maniera, per essere infinito il sommo
bene, infinitamente credemo che si comunica secondo la condizione delle
cose alle quali si diffonde. Però non è specie definita a l'universo (parlo
secondo la figura e mole), non è specie definita a l'intelletto, non è
definita la specie de l'affetto.
Laodonio
Dunque queste due potenze de l'anima mai sono, né essere possono perfette
per l'oggetto, se infinitamente si referiscono a quello.
Liberio
Cossì sarrebe se questo infinito fusse per privazion negativa o negazion
privativa de fine, come è per più positiva affirmazione de fine infinito
ed interminato.
Laodonio
Volete dir dunque due specie d'infinità: l'una privativa, la qual
può essere verso qualche cosa che è potenza, come infinite son le tenebre,
il fine delle quali è posizione di luce; l'altra perfettiva, la quale
è circa l'atto e perfezione, come infinita è la luce, il fine della quale
sarebbe privazione e tenebre. In questo dunque che l'intelletto concepe
la luce, il bene, il bello, per quanto s'estende l'orizonte della sua
capacità, e l'anima che beve del nettare divino e de la fonte de vita
eterna, per quanto comporta il vase proprio; si vede che la luce è oltre
la circunferenza del suo orizonte, dove può andar sempre più e più penetrando;
ed il nettare e fonte d'acqua viva è infinitamente fecondo, onde possa
sempre oltre ed oltre inebriarsi.
Liberio
Da qua non séguita imperfezione nell'oggetto né poca satisfazione
nella potenza; ma che la potenza sia compresa da l'oggetto e beatificamente
assorbita da quello. Qua gli occhi imprimeno nel core, cioè nell'intelligenza,
suscitano nella volontà un infinito tormento di suave amore; dove non
è pena, perché non s'abbia quel che si desidera, ma è felicità, perché
sempre vi si trova quel che si cerca: ed in tanto non vi è sazietà, per
quanto sempre s'abbia appetito, e per consequenza gusto; acciò non sia
come nelli cibi del corpo, il quale con la sazietà perde il gusto, e non
ha felicità prima che guste, né dopo ch'ha gustato, ma nel gustar solamente;
dove se passa certo termine e fine, viene ad aver fastidio e nausea.
Vedi,
dunque, in certa similitudine qualmente il sommo bene deve essere infinito,
e l'appulso de l'affetto verso e circa quello esser deggia anco infinito,
acciò non vegna talvolta a non esser bene: come il cibo che è buono al
corpo, se non ha modo, viene ad essere veleno. Ecco come l'umor de l'Oceano
non estingue quel vampo, ed il rigor de l'Artico cerchio non tempra quell'ardore.
Cossì è cattivo d'una mano che il tiene e non lo vuole: il tiene, perché
l'ha per suo; non lo vuole, perché (come lo fuggesse) tanto più se gli
fa alto quanto più ascende a quella, quanto più la séguita tanto più se
gli mostra lontana per raggion de eminentissima eccellenza, secondo quel
detto: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus.
Cotal
felicità d'affetto comincia da questa vita, ed in questo stato ha il suo
modo d'essere. Onde può dire il core d'essere entro con il corpo, e fuori
col sole, in quanto che l'anima con la gemina facultade mette in execuzione
doi uffici: l'uno de vivificare ed attuare il corpo animabile, l'altro
de contemplare le cose superiori; perché cossì lei è in potenza receptiva
da sopra, come è verso sotto al corpo in potenza attiva. Il corpo è come
morto e cosa privativa a l'anima la quale è sua vita e perfezione; e l'anima
è come morta e cosa privativa alla superiore illuminatrice intelligenza
da cui l'intelletto è reso in abito e formato in atto. Quindi si dice
il core essere prencipe di vita, e non esser vivo; si dice appartenere
a l'alma animante, e quella non appartenergli: perché è infocato da l'amor
divino, è convertito finalmente in fuoco, che può accendere quello che
si gli avicina; atteso che avendo contratta in sé la divinitade, è fatto
divo; e conseguentemente con la sua specie può innamorar altri: come nella
luna può essere admirato e magnificato il splendor del sole. Per quel
poi ch'appartiene al considerar de gli occhi, sapete che nel presente
discorso hanno doi ufficii: l'uno de imprimere nel core, l'altro de ricevere
l'impressione dal core; come anco questo ha doi ufficii: l'uno de ricevere
l'impressioni da gli occhi, l'altro di imprimere in quelli. Gli occhi
apprendono le specie e le proponeno al core, il core le brama ed il suo
bramare presenta a gli occhi: quelli concepeno la luce, la diffondeno
ed accendeno il fuoco in questo; questo, scaldato ed acceso, invia il
suo amore a quelli, perché lo digeriscano. Cossì primieramente la cognizione
muove l'affetto, ed appresso l'affetto muove la cognizione. Gli occhi,
quando moveno, sono asciutti, perché fanno ufficio di specchio e di ripresentatore;
quando poi son mossi, son turbati ed alterati; perché fanno ufficio de
studioso executore: atteso che con l'intelletto speculativo prima si vede
il bello e buono, poi la voluntà l'appetisce, ed appresso l'intelletto
industrioso lo procura, séguita e cerca. Gli occhi lacrimosi significano
la difficultà de la separazione della cosa bramata dal bramante, la quale
acciò non sazie, non fastidisca, si porge come per studio infinito, il
quale sempre ha e sempre cerca: atteso che la felicità de' dei è descritta
per il bevere non per l'aver bevuto il nettare, per il gustare non per
aver gustato l'ambrosia, con aver continuo affetto al cibo ed alla bevanda,
e non con esser satolli e senza desio de quelli. Indi, hanno la sazietà
come in moto ed apprensione, non come in quiete e comprensione; non son
satolli senza appetito, né sono appetenti senza essere in certa maniera
satolli.
Laodonio
Esuries satiata, satietas esuriens.
Liberio
Cossì a punto.
Laodonio
Da qua posso intendere come senza biasimo, ma con gran verità ed intelletto
è stato detto, che il divino amore piange con gemiti inenarrabili, perché
con questo che ha tutto, ama tutto, e con questo che ama tutto, ha tutto.
Liberio
Ma vi bisognano molte glose, se volessimo intendere de l'amor divino
che è la istessa deità; e facilmente s'intende de l'amor divino per quanto
si trova ne gli effetti e nella subalternata natura; non dico quello che
dalla divinità si diffonde alle cose, ma quello delle cose che aspira
alla divinità.
Laodonio
Or di questo ed altro raggionaremo a più aggio appresso. Andiamone.
Fine
del terzo dialogo |