SECONDA PARTE DE GLI EROICI FURORI
DIALOGO PRIMO
INTERLOCUTORI
Cesarino, Maricondo
I. Cesarino Cossì dicono che le cose megliori e più eccellenti sono nel mondo, quando tutto l'universo da ogni parte risponde eccellentemente. E questo stimano allor che tutti gli pianeti ottegnono l'Ariete, essendo che quello de l'ottava sfera ancora ottegna quello del firmamento invisibile e superiore dove è l'altro zodiaco. Le cose peggiori e più basse vogliono che abbiano loco quando domina la contraria disposizione ed ordine: però per forza di vicissitudine accadeno le eccessive mutazioni dal simile al dissimile, dal contrario a l'altro. La revoluzion dunque, ed anno grande del mondo, è quel spacio di tempo in cui da abiti ed effetti diversissimi per gli oppositi mezzi e contrarii si ritorna al medesimo: come veggiamo ne gli anni particolari, qual è quello del sole, dove il principio d'una disposizione contraria è fine de l'altra, ed il fine di questa è principio di quella. Però ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi ed opre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati. Maricondo Sappi, fratel mio, che questa successione ed ordine de le cose è verissima e certissima: ma al nostro riguardo sempre, in qualsivoglia stato ordinario, il presente più ne afflige che il passato, ed ambi doi insieme manco possono appagarne che il futuro, il quale è sempre in aspettazione e speranza, come ben puoi veder designato in questa figura la quale è tolta dall'antiquità de gli Egizii, che fêrno cotal statua che sopra un busto simile a tutti tre puosero tre teste, l'una di lupo che remirava a dietro, l'altra di leone che avea la faccia volta in mezzo, e la terza di cane che guardava innanzi; per significare che le cose passate affligono col pensiero, ma non tanto quanto le cose presenti che in effetto ne tormentano, ma sempre per l'avenire ne prometteno meglio. Però là è il lupo che urla, qua il leon che rugge, appresso il cane che applaude. Cesarino Che contiene quel motto ch'è sopra scritto? Maricondo Vedi che sopra il lupo è Iam, sopra il leone Modo, sopra il cane Praeterea, che son dizioni che significano le tre parti del tempo. Cesarino Or leggete quel ch'è nella tavola. MaricondoCossì
farò.
Maricondo Sappiamo che non fate il teologo ma filosofo, e che trattate filosofia non teologia. Cesarino Cossì è. Ma veggiamo quel che séguita. II.
Cesarino Veggio appresso un fumante turribolo che è sustenuto da
un braccio; ed il motto che dice: Illius aram; ed appresso l'articolo
seguente:
Cesarino Molto ben dimostri come a gli uomini di eroico spirito tutte le cose si converteno in bene, e si sanno servire della cattività in frutto di maggior libertade, e l'esser vinto una volta convertiscono in occasione di maggior vittoria. Ben sai che l'amor di bellezza corporale a color che son ben disposti, non solamente non apporta ritardamento da imprese maggiori, ma più tosto viene ad improntargli l'ali per venire a quelle; allor che la necessità de l'amore è convertita in virtuoso studio, per cui l'amante si forza di venire a termine nel quale sia degno della cosa amata, e forse di cosa maggiore, megliore e più bella ancora; onde sia o che vegna contento d'aver guadagnato quel che brama, o sodisfatto dalla sua propria bellezza, per cui degnamente possa spregiar l'altrui che viene ad esser da lui vinta e superata: onde o si ferma quieto, o si volta ad aspirare ad oggetti più eccellenti e magnifichi. E cossì sempre verrà tentando il spirito eroico, sin tanto che non si vede inalzato al desiderio della divina bellezza in se stessa, senza similitudine, figura, imagine e specie, se sia possibile; e più, se sa arrivare a tanto. Maricondo Vedi dunque, Cesarino, come ha raggione questo furioso di risentirsi contra coloro che lo riprendono come cattivo de bassa bellezza a cui sparga voti e appenda tabelle; di maniera che quindi non viene rubelle dalle voci che lo richiamano a più alte imprese: essendo che, come queste basse cose derivano da quelle ed hanno dependenza, cossì da queste si può aver accesso a quelle come per proprii gradi. Queste, se non son Dio, son cose divine, sono imagini sue vive: nelle quali non si sente offeso, se si vede adorare; perché abbiamo ordine del superno spirito che dice: Adorate scabellum pedum eius. Ed altrove disse un divino imbasciatore: Adorabimus ubi steterunt pedes eius. Cesarino Dio, la divina bellezza e splendore riluce ed è in tutte le cose; però non mi pare errore d'admirarlo in tutte le cose, secondo il modo che si comunica a quelle. Errore sarà certo, se noi donaremo ad altri l'onor che tocca a lui solo. Ma che vuol dir quando dice: Lasciatemi, lasciate, altri desiri? Maricondo Bandisce da sé gli pensieri, che gli appresentano altri oggetti che non hanno forza di commoverlo tanto, e che gli vogliono involar l'aspetto del sole, il qual può presentarsegli da questa fenestra più che da l'altre. Cesarino Come, importunato da pensieri, si sta constante a remirar quel splendor che lo disface, e non lo fa di maniera contento che ancora non vegna fortemente a tormentarlo? Maricondo
Perché tutti gli nostri conforti in questo stato di controversia non
sono senza gli suoi disconforti cossì grandi come magnifici son gli conforti.
Come più grande è il timore d'un re che consiste su la perdita d'un regno,
che di un mendico che consiste sul periglio di perdere dieci danaii; è
più urgente la cura d'un prencipe sopra una republica, che d'un rustico
sopra un grege de porci; come gli piaceri e delicie di quelli forse son
più grandi che le delicie di questi. Però l'amare ed aspirar più alto
mena seco maggior gloria e maestà con maggior cura, pensiero e doglia:
intendo in questo stato dove l'un contrario sempre è congionto a l'altro,
trovandosi la massima contrarietade sempre nel medesimo geno, e per consequenza
circa medesimo suggetto, quantunque gli contrarii non possano essere insieme.
E cossì proporzionalmente nell'amor di Cupido superiore, come dechiarò
l'Epicureo poeta nel cupidinesco volgare e animale, quando disse:
III. Cesarino Or consideriamo sopra questa imagine seguente, ch'è d'una fenice che arde al sole, e con il suo fumo va quasi a oscurar il splendor di quello, dal cui calore vien infiammata; ed evvi la nota che dice: Neque simile, nec par. Maricondo
Leggasi l'articolo prima:
Maricondo Io senza che metta in bilancio e comparazione gli studi di costui, torno a dire quel che ti dicevo l'altr'ieri, che la lode è uno de gli più gran sacrificii che possa far un affetto umano ad un oggetto. E per lasciar da parte il proposito del divino, ditemi: chi conoscerebbe Achille, Ulisse e tanti altri greci e troiani capitani; chi arrebe notizia de tanti grandi soldati, sapienti ed eroi de la terra, se non fussero stati messi alle stelle e deificati per il sacrificio de laude, che nell'altare del cor de illustri poeti ed altri recitatori ave acceso il fuoco, con questo che comunmente montasse al cielo il sacrificatore, la vittima ed il canonizato divo, per mano e voto di legitimo e degno sacerdote? Cesarino
Ben dici di degno e legitimo sacerdote; perché degli apposticci n'è
pieno oggi il mondo, li quali, come sono per ordinario indegni essi loro,
cossì vegnono sempre a celebrar altri indegni, di sorte che asini asinos
fricant. Ma la providenza vuole che, in luogo d'andar gli uni e gli
altri al cielo, sen vanno giontamente alle tenebre de l'Orco; onde fia
vana e la gloria di quel che celebra, e di quel ch'è celebrato; perché
l'uno ha intessuta una statua di paglia, o insculpito un tronco di legno,
o messo in getto un pezzo di calcina, e l'altro, idolo d'infamia e vituperio,
non sa che non gli bisogna aspettar gli denti de l'evo e la falce di Saturno
per esser messo giù; stante che dal suo encomico medesimo vien sepolto
vivo all'ora all'ora propria che vien lodato, salutato, nominato, presentato.
Come per il contrario è accaduto alla prudenza di quel tanto celebrato
Mecenate, il quale, se non avesse avuto altro splendore che de l'animo
inchinato alla protezione e favor delle Muse, sol per questo meritò che
gl'ingegni de tanti illustri poeti gli dovenessero ossequiosi a metterlo
nel numero de più famosi eroi che abbiano calpestrato il dorso de la terra.
Gli propri studii ed il proprio splendore l'han reso chiaro e nobilissimo,
e non l'esser nato d'atavi regi, non l'esser gran secretario e consegliero
d'Augusto. Quello, dico, che l'ha fatto illustrissimo, è l'aversi fatto
degno dell'execuzion della promessa di quel poeta che disse:
Cesarino Non già col silenzio de gli animali bruti ed altri che sono ad imagine e similitudine d'uomini, ma di quelli, il silenzio de quali è più illustre che tutti gli cridi, rumori e strepiti di costoro che possano esser uditi. IV. Maricondo Ma procediamo oltre a vedere quel che significa il resto. Cesarino Dite se avete prima considerato e visto quel che voglia dir questo fuoco in forma di core con quattro ali, de le quali due hanno gli occhi, dove tutto il composto è cinto de luminosi raggi, ed hassi incirca scritta la questione: Nitimur in cassum? Maricondo
Mi ricordo ben che significa il stato de la mente, core, spirito ed
occhi del furioso; ma leggiamo l'articolo:
Conversa con quelli gli quali o lui possa far megliori, o da gli quali lui possa esser fatto megliore, per splendor che possa donar a quelli, o da quelli possa ricever lui. Contentesi più d'uno idoneo che de l'inetta moltitudine. Né stimarà d'aver acquistato poco, quando è dovenuto a tale che sia savio per sé, sovvenendogli quel che dice Democrito: Unus mihi pro populo est, et populus pro uno; e che disse Epicuro ad un consorte de suoi studii, scrivendo: Haec tibi, non multis; satis enim magnum alter alteri theatrum sumus. La mente dunque ch'aspira alto, per la prima lascia la cura della moltitudine, considerando che quella luce spreggia la fatica, e non si trova se non dove è l'intelligenza; e non dove è ogni intelligenza, ma quella che è tra le poche, principali e prime la prima, principale ed una. Cesarino Come intendi che la mente aspira alto? verbi grazia, con guardar sempre alle stelle? al cielo empireo? sopra il cristallino? Maricondo Non certo, ma procedendo al profondo della mente, per cui non fia mistiero massime aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, menar i passi al tempio, intonar l'orecchie de simulacri, onde più si vegna exaudito; ma venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé più ch'egli medesimo esser non si possa; come quello ch'è anima de le anime, vita de le vite, essenza de le essenze: atteso poi che quello che vedi alto o basso, o incirca (come ti piace dire) degli astri, son corpi, son fatture simili a questo globo in cui siamo noi, e nelli quali non più né meno è la divinità presente che in questo nostro, o in noi medesimi. Ecco dunque come bisogna fare primeramente de ritrarsi dalla moltitudine in se stesso. Appresso deve dovenir a tale che non stime ma spreggie ogni fatica, di sorte che quanto più gli affetti e vizii combattono da dentro, e gli viziosi nemici contrastano di fuori, tanto più deve respirar e risorgere, e con uno spirito (se possibil fia) superar questo clivoso monte. Qua non bisognano altre armi e scudi che la grandezza d'un animo invitto e toleranza de spirito che mantiene l'equalità e tenor della vita, che procede dalla scienza, ed è regolato da l'arte di specolar le cose alte e basse, divine ed umane, dove consiste quel sommo bene. Per cui disse un filosofo morale, che scrisse a Lucilio: non bisogna tranar le Scille, le Cariddi, penetrar gli deserti de Candavia ed Apennini, o lasciarsi a dietro le Sirti; perché il camino è tanto sicuro e giocondo quanto la natura medesima abbia possuto ordinare. Non è, dice egli, l'oro ed argento che faccia simile a Dio, perché non fa tesori simili; non gli vestimenti, perché Dio è nudo; non la ostentazione e fama, perché si mostra a pochissimi, e forse che nessuno lo conosce, e certo molti, e più che molti hanno mala opinion de lui; non tante e tante altre condizioni de cose che noi ordinariamente admiriamo, perché non queste cose delle quali si desidera la copia, ne rendeno talmente ricchi, ma il dispreggio di quelle. Cesarino Bene: ma dimmi appresso, in qual maniera costui Tranquillarà gli sensi, mitigarà gli dolori del spirito, appagarà il core e darà gli proprii censi a la mente, di sorte che con questo suo aspirare e studii non debba dire: Nitimur in cassum? Maricondo Talmente trovandosi presente al corpo che con la meglior parte di sé sia da quello absente, farsi come con indissolubil sacramento congionto ed alligato alle cose divine, di sorte che non senta amor né odio di cose mortali, considerando d'esser maggiore che esser debba servo e schiavo del suo corpo; al quale non deve altrimente riguardare che come carcere che tien rinchiusa la sua libertade, vischio che tiene impaniate le sue penne, catena che tien strette le sue mani, ceppi che han fissi gli suoi piedi, velo che gli tien abbagliata la vista. Ma con ciò non sia servo, cattivo, inveschiato, incatenato, discioperato, saldo e cieco; perché il corpo non gli può più tiranneggiare ch'egli medesimo si lasce: atteso che cossì il spirito proporzionalmente gli è preposto, come il mondo corporeo e materia è suggetta alla divinitade ed a la natura. Cossì farassi forte contra la fortuna, magnanimo contra l'ingiurie, intrepido contra la povertà, morbi e persecuzioni. Cesarino Bene instituito è il furioso eroico! V. Cesarino Appresso veggasi quel che séguita. Ecco la ruota del tempo affissa, che si muove circa il centro proprio, e vi è il motto: Manens moveor. Che intendete per quella? Maricondo
Questo vuol dire, che si muove in circolo; dove il moto concorre con
la quiete, atteso che nel moto orbiculare sopra il proprio asse e circa
il proprio mezzo si comprende la quiete e fermezza secondo il moto retto;
over quiete del tutto e moto, secondo le parti; e da le parti che si muoveno
in circolo, si apprendeno due differenze di lazione, in quanto che successivamente
altre parti montano alla sommità, altre dalla sommità descendeno al basso;
altre ottegnono le differenze medianti, altre tegnono l'estremo dell'alto
e del fondo. E questo tutto mi par che comodamente viene a significar
quel tanto che s'esplica nel seguente articolo:
VI. Cesarino Tutto va bene. Vengamo a quel che séguita. Veggio una nave inchinata su l'onde; ed ha le sarte attaccate a lido ed ha il motto: Fluctuat in portu. Argumentate quel che può significare; e se ne siete risoluto, esplicate. Maricondo
E la figura ed il motto ha certa parentela col precedente motto e
figura, come si può facilmente comprendere, se alquanto si considera.
Ma leggiamo l'articolo:
Cesarino Ma che cosa è quella da cui richiede che mire a que' pensieri ch'ha resi cossì incerti, compisca gli suoi desii che fa sì ardenti, ed ascolte le sue raggioni che rende sì casse? Maricondo Intende l'oggetto il quale allora il mira, quando esso se gli fa presente; atteso che veder la divinità è l'esser visto da quella, come vedere il sole concorre con l'esser visto dal sole. Parimente essere ascoltato dalla divinità è a punto ascoltar quella, ed esser favorito da quella è il medesimo esporsegli: dalla quale una medesima ed immobile procedeno pensieri incerti e certi, desii ardenti ed appagati, e raggioni exaudite e casse, secondo che degna o indegnamente l'uomo se gli presenta con l'intelletto, affetto ed azioni. Come il medesimo nocchiero vien detto caggione della summersione o salute della nave, per quanto che o è a quella presente, overo da quella trovasi absente; eccetto che il nocchiero per suo diffetto o compimento ruina e salva la nave; ma la divina potenza che è tutta in tutto, non si porge o suttrae se non per altrui conversione o aversione. VII. Maricondo Con questa dunque mi par ch'abbia gran concatenazione e conseguenza la figura seguente, dove son due stelle in forma de doi occhi radianti con il suo motto che dice: Mors et vita. Cesarino Leggete dunque l'articolo. Maricondo
Cossì farò:
Oltre (perché non crede che tutto quel che non è, non possa essere) priega la divina luce che - per la sua bellezza la quale non deve essere a tutti occolta, almeno secondo la capacità de chi la mira, e per il suo amore che forse a tanta bellezza è uguale (uguale intende de la beltade, in quanto che la se gli può far comprensibile), - che si renda alla pietà, cioè che faccia come quelli che son piatosi, quali da ritrosi e schivi si fanno graziosi ed affabili; e che non prolonghe il male che avviene da quella privazione, e non permetta che il suo splendor per cui è desiderata, appaia maggiore che il suo amore con cui si communiche: stante che tutte le perfezioni in lei non solamente sono uguali, ma ancor medesime. Al fine la ripriega che non oltre l'attriste con la privazione; perché potrà ucciderlo con la luce de suoi sguardi, e con que' medesimi donargli la vita: e però non lo lasce a la morte con ciò che le amene luci siano ascose da le palpebre. Cesarino Vuol dire quella morte de amanti che procede da somma gioia, chiamata da cabalisti mors osculi? la qual medesima è vita eterna, che l'uomo può aver in disposizione in questo tempo ed in effetto nell'eternità? Maricondo Cossì è. VIII. Cesarino Ma è tempo di procedere a considerar il seguente dissegno simile a questi prossimi avanti rapportati, con li quali ha certa conseguenza. Vi è un'aquila che con due ali s'appiglia al cielo; ma non so come e quanto vien ritardata dal pondo d'una pietra che tien legata a un piede. Ed evvi il motto: Scinditur incertum. E certo significa la moltitudine, numero e volgo delle potenze de l'anima; alla significazion della quale è preso quel verso: Scinditur incertum studia in contraria vulgus. Il
quale volgo tutto generalmente è diviso in due fazioni (quantunque, subordinate
a queste, non mancano de l'altre); de le quali altre invitano a l'alto
dell'intelligenza e splendore di giustizia, altre allettano, incitano
e forzano in certa maniera al basso, alle sporcizie delle voluttadi e
compiacimenti de voglie naturali. Onde dice l'articolo:
Cesarino Credi che a questa difficultà si possa riparare? Maricondo Molto bene; ma il principio è durissimo, e secondo che si fa più e più fruttifero progresso di contemplazione, si doviene a maggiore e maggior facilità. Come avviene a chi vola in alto che, quanto più s'estoglie da la terra, vien ad aver più aria sotto che lo sustenta, e consequentemente meno vien fastidito dalla gravità; anzi, tanto può volar alto, che, senza fatica de divider l'aria, non può tornar al basso, quantunque giudicasi che più facil sia divider l'aria profondo verso la terra, che alto verso l'altre stelle. Cesarino Tanto che col progresso in questo geno s'acquista sempre maggiore e maggiore facilità di montare in alto? Maricondo
Cossì è; onde ben disse il Tansillo:
Cesarino Di sorte che quanto vi s'aggiongesse, tanto mi parrebe soverchio. IX. Cesarino Vedasi ora quel che vien presentato per quelle due saette radianti sopra una targa, circa la quale è scritto Vicit instans. Maricondo La guerra continua tra l'anima del furioso; la qual gran tempo per la maggiore familiarità che avea con la materia, era più dura ed inetta ad esser penetrata da gli raggi del splendor della divina intelligenza e spezie della divina bontade; per il qual spacio dice ch'il cor smaltato de diamante, cioè l'affetto duro ed inetto ad esser riscaldato e penetrato, ha fatto riparo a gli colpi d'amore che aportavano gli assalti da parti innumerabili. Vuol dire, non ha sentito impiagarsi da quelle piaghe de vita eterna de le quali parla la Cantica quando dice: Vulnerasti cor meum, o dilecta, vulnerasti cor meum. Le quali piaghe non son di ferro, o d'altra materia, per vigor e forza de nervi; ma son freccie de Diana o di Febo: cioè o della dea de gli deserti della contemplazione de la Veritade, cioè della Diana, che è l'ordine di seconde intelligenze che riportano il splendor ricevuto dalla prima, per comunicarlo a gli altri che son privi de più aperta visione; o pur del nume più principale, Apollo, che con il proprio e non improntato splendore manda le sue saette, cioè gli suoi raggi, da parti innumerabili, tali e tante che son tutte le specie delle cose; le quali son indicatrici della divina bontà, intelligenza, beltade e sapienza, secondo diversi ordini dall'apprension dovenir furiosi amanti, percioché l'adamantino suggetto non ripercuota dalla sua superficie il lume impresso, ma, rammollato e domato dal calore e lume, vegna a farsi tutto in sustanza luminoso, tutto luce, con ciò che vegna penetrato entro l'affetto e concetto. Questo non è subito nel principio della generazione, quando l'anima di fresco esce ad essere inebriata di Lete ed imbibita de l'onde de l'oblio e confusione; onde il spirito vien più cattivato al corpo e messo in essercizio della vegetazione, ed a poco a poco si va digerendo per esser atto a gli atti della sensitiva facultade, sin tanto che per la razionale e discorsiva vegna a più pura intellettiva, onde può introdursi a la mente e non più sentirsi annubilata per le fumositadi di quell'umore che per l'exercizio di contemplazione non s'è putrefatto nel stomaco, ma è maturamente digesto. Nella
qual disposizione il presente furioso mostra aver durato sei lustri, nel
discorso de quali non era venuto a quella purità di concetto, che potesse
farsi capace abitazione delle specie peregrine, che offrendosi a tutte
ugualmente batteno sempre alla porta de l'intelligenza. Al fine l'amore
che da diverse parti ed in diverse volte l'avea assaltato come in vano
(qualmente il sole in vano se dice lucere e scaldare a quelli che son
nelle viscere de la terra ed opaco profondo), per essersi accampato in
quelle luci sante, cioè per aver mostrato per due specie intelligibili
la divina bellezza, la quale con la raggione di verità gli legò l'intelletto
e con la raggione di bontà scaldogli l'affetto, vennero superati gli studi
materiali e sensitivi che altre volte soleano come trionfare, rimanendo
(a mal grado de l'eccellenza de l'anima) intatti; perché quelle luci che
facea presente l'intelletto agente illuminatore e sole d'intelligenza,
ebbero facile entrata per le sue luci: quella della verità per la porta
de la potenza intellettiva; quella della bontà per la porta della potenza
appetitiva al core, cioè alla sustanza del generale affetto. Questo fu
quel doppio strale che venne come da man de guerriero irato; cioè più
pronto, più efficace, più ardito, che per tanto tempo innanzi s'era dimostrato
come più debole o negligente. Allora quando primieramente fu sì scaldato
ed illuminato nel concetto, fu quello vittorioso punto e momento, per
cui è detto: Vicit instans. Indi possete intendere il senso della
proposta figura, motto ed articolo che dice:
Dolci ire, guerra dolce, dolci dardi, Dolci mie piaghe, miei dolci dolori. X. Cesarino Non mi par che rimagna cosa da considerar oltre in proposito di questo. Veggiamo ora questa faretra ed arco d'amore, come mostrano le faville che sono in circa, ed il nodo del laccio che pende, con il motto che è: Subito, clam. Maricondo
Assai mi ricordo d'averlo veduto espresso ne l'articolo. Però leggiamolo
prima:
Cesarino Potremmo conietturare per qual caggione, se alla prima si presentasse a gli occhi la preda, non viene subito a lanciarsegli sopra? Maricondo
Non certo. Ma forse che ella sin tanto distingue, se si gli possa
presentar megliore, o più comoda preda. Oltre non credo che ciò sia sempre,
ma per il più ordinario. Or venemo a noi. Del ceto o balena è cosa aperta,
che per essere un machinoso animale, non può divider l'acqui se non con
far che la sua presenza sia presentita dal ributto de l'onde, senza questo,
che si trovano assai specie di questo pesce che con il moto e respirar
che fanno, egurgitano una ventosa tempesta di spruzzo acquoso. Da tutte
dunque le tre specie de princìpi animali hanno facultà di prender tempo
di scampo gli animali inferiori; di sorte che non procedeno come subdoli
e traditori. Ma l'Amor che è più forte e più grande, e che ha domino supremo
in cielo, in terra ed in mare, e che per similitudine di questi forse
derrebe mostrar tanto più eccellente magnanimità, quanto ha più forza,
niente di manco assalta e fere a l'improvisto e subito.
Cesarino Non è più grande imperio, non è tirannide peggiore, non è meglior domìno, non è potestà più necessaria, non è cosa più dolce e suave, non si trova cibo che sia più austero ed amaro, non si vede nume più violento, non è dio più piacevole, non agente più traditore e finto, non autor più regale e fidele; e, per finirla, mi par che l'amor sia tutto e faccia tutto; e de lui si possa dir tutto e tutto possa attribuirsi a lui. Maricondo Voi dite molto bene. L'amor dunque (come quello che opra massime per la vista, la quale è spiritualissimo de tutti gli sensi, perché subito monta sin alli appresi margini del mondo, e senza dilazion di tempo si porge a tutto l'orizonte della visibilità) viene ad esser presto, furtivo, improvisto e subito. Oltre è da considerare quel che dicono gli antichi, che l'amor precede tutti gli altri dei; però non fia mestiero de fingere che Saturno gli mostre il camino, se non con seguitarlo. Appresso, che bisogna cercar se l'amore appaia e facciasi prevedere di fuori, se il suo allogiamento è l'anima medesima, il suo letto è l'istesso core, e consiste nella medesima composizione de nostra sustanza, nel medesimo appulso de nostre potenze. Finalmente, ogni cosa naturalmente appete il bello e buono, e però non vi bisogna argumentare e discorrere perché l'affetto si informe e conferme; ma subito ed in uno instante l'appetito s'aggionge a l'appetibile, come la vista al visibile. XI. Cesarino Veggiamo appresso che voglia dir quella ardente saetta circa la quale è avolto il motto: Cui nova plaga loco? Dechiarate che luogo cerca questa per ferire. Maricondo
Non bisogna far altro che leggere l'articolo, che dice cossì:
Cesarino Al perfetto, se è perfetto, non è cosa che si possa aggiongere: però la volontà non è capace d'altro appetito, quando fiagli presente quello ch'è del perfetto, sommo e massimo. Intendere dunque posso la conclusione, dove dice a l'amore: Non perder qua tue prove; perché, se non in vano, a torto (si dice per certa similitudine e metafora) tenti amazzar colui ch'è morto; cioè quello che non ha più vita né senso circa altri oggetti, onde da quelli possa esser punto o forato; a che oltre viene ad essere esposto ad altre specie? E questo lamento accade a colui che, avendo gusto de l'ottima unità, vorrebe essere al tutto exempto ed abstratto dalla moltitudine. Maricondo Intendete molto bene. XII.
Cesarino Or ecco appresso un fanciullo dentro un battello che sta
ad ora ad ora per essere assorbito da l'onde tempestose, che languido
e lasso ha abandonati gli remi. Ed evvi circa lo motto: Fronti nulla
fides. Non è dubio che questo significhe che lui dal sereno aspetto
de l'acqui fu invitato a solcar il mare infido; il quale a l'improviso
avendo inturbidato il volto, per estremo e mortal spavento, e per impotenza
di romper l'impeto, gli ha fatto dismetter il capo, braccia e la speranza.
Ma veggiamo il resto:
Cesarino Queste son considerazioni su la superficie e l'istoriale de la figura. Ma il proposito del furioso eroico penso che verse circa l'imbecillità de l'ingegno umano, il quale, attento a la divina impresa, in un subito talvolta si trova ingolfato nell'abisso della eccellenza incomprensibile; onde il senso ed imaginazione vien confusa ed assorbita, che non sapendo passar avanti, né tornar a dietro, né dove voltarsi, svanisce e perde l'esser suo; non altrimente che una stilla d'acqua che svanisce nel mare, o un picciol spirito che s'attenua perdendo la propria sustanza nell'aere spacioso ed inmenso. Maricondo
Bene, ma andiamone discorrendo verso la stanza, perché è notte. Fine
del primo dialogo |