DIALOGO TERZO
INTERLOCUTORI
Tansillo, Cicada
Tansillo Poneno, e sono, più specie de furori, li quali tutti si riducono a doi geni: secondo che altri non mostrano che cecità, stupidità ed impeto irrazionale che tende al ferino insensato; altri consisteno in certa divina abstrazione per cui dovegnono alcuni megliori, in fatto, che uomini ordinarii. E questi sono de due specie; perché altri, per esserno fatti stanza de dei o spiriti divini, dicono ed operano cose mirabile senza che di quelle essi o altri intendano la raggione; e tali per l'ordinario sono promossi a questo da l'esser stati prima indisciplinati ed ignoranti; nelli quali, come voti di proprio spirito e senso, come in una stanza purgata, s'intrude il senso e spirito divino. Il qual meno può aver luogo e mostrarsi in quei che son colmi de propria raggione e senso, perché tal volta vuole, che il mondo sappia certo che se quei non parlano per proprio studio ed esperienza, come è manifesto, séguite che parlino ed oprino per intelligenza superiore: e con questo la moltitudine de gli uomini in tali degnamente ha maggior admirazion e fede. Altri, per essere avezzi o abili alla contemplazione, e per aver innato un spirito lucido ed intellettuale, da uno interno stimolo e fervor naturale, suscitato dall'amor della divinitate, della giustizia, della veritade, della gloria, dal fuoco del desio e soffio dell'intenzione, acuiscono gli sensi; e nel solfro della cogitativa facultade accendono il lume razionale con cui veggono più che ordinariamente: e questi non vegnono, al fine, a parlar ed operar come vasi ed instrumenti, ma come principali artefici ed efficienti. Cicada Di questi doi geni quali stimi megliori? Tansillo Gli primi hanno più dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi più degni, più potenti ed efficaci, e son divini. Gli primi son degni come l'asino che porta li sacramenti; gli secondi come una cosa sacra. Nelli primi si considera e vede in effetto la divinità; e quella s'admira, adora ed obedisce; ne gli secondi si considera e vede l'eccellenza della propria umanitade. Or
venemo al proposito. Questi furori de quali noi raggioniamo, e che veggiamo
messi in execuzione in queste sentenze, non son oblio, ma una memoria;
non son negligenze di se stesso, ma amori e brame del bello e buono con
cui si procure farsi perfetto con trasformarsi ed assomigliarsi a quello.
Non è un raptamento sotto le leggi d'un fato indegno, con gli lacci de
ferine affezioni; ma un impeto razionale che siegue l'apprension intellettuale
del buono e bello che conosce, a cui vorrebbe conformandosi parimente
piacere; di sorte che della nobiltà e luce di quello viene ad accendersi
ed investirsi de qualitade e condizione per cui appaia illustre e degno.
Doviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto; e d'altro
non ha pensiero che de cose divine, e mostrasi insensibile ed impassibile
in quelle cose che comunmente massime senteno, e da le quali più vegnon
altri tormentati; niente teme, e per amor della divinitade spreggia gli
altri piaceri, e non fa pensiero alcuno de la vita. Non è furor d'atra
bile che fuor di conseglio, raggione ed atti di prudenza lo faccia vagare
guidato dal caso e rapito dalla disordinata tempesta; come quei, ch'avendo
prevaricato da certa legge de la divina Adrastia vegnono condannati sotto
la carnificina de le Furie, acciò sieno essagitati da una dissonanza tanto
corporale per sedizioni, ruine e morbi, quanto spirituale per la iattura
dell'armonia delle potenze cognoscitive ed appetitive. Ma è un calor acceso
dal sole intelligenziale ne l'anima e impeto divino che gl'impronta l'ali;
onde più e più avvicinandosi al sole intelligenziale, rigettando la ruggine
de le umane cure, dovien un oro probato e puro, ha sentimento della divina
ed interna armonia, concorda gli suoi pensieri e gesti con la simmetria
della legge insita in tutte le cose. Non come inebriato da le tazze di
Circe va cespitando ed urtando or in questo, or in quell'altro fosso,
or a questo or a quell'altro scoglio; o come un Proteo vago or in questa,
or in quell'altra faccia cangiandosi, giamai ritrova loco, modo, né materia
di fermarsi e stabilirsi. Ma senza distemprar l'armonia vince e supera
gli orrendi mostri; e per tanto che vegna a dechinare, facilmente ritorna
al sesto con quelli intimi instinti, che come nove muse saltano e cantano
circa il splendor dell'universale Apolline; e sotto l'imagini sensibili
e cose materiali va comprendendo divini ordini e consegli. E` vero che
tal volta avendo per fida scorta l'amore, ch'è gemino, e perché tal volta
per occorrenti impedimenti si vede defraudato dal suo sforzo, allora come
insano e furioso mette in precipizio l'amor di quello che non può comprendere;
onde confuso da l'abisso della divinità tal volta dismette le mani, e
poi ritorna pure a forzarsi con la voluntade verso là dove non può arrivare
con l'intelletto. E` vero pure che ordinariamente va spasseggiando, ed
ora più in una, or più in un'altra forma del gemino Cupido si trasporta;
perché la lezion principale che gli dona Amore, è che in ombra contemple
(quando non puote in specchio) la divina beltade; e come gli proci di
Penelope s'intrattegna con le fante, quando non gli lice conversar con
la padrona. Or dunque, per conchiudere, possete da quel ch'è detto, comprendere
qual sia questo furioso di cui l'imagine ne vien messa avanti, quando
si dice:
Cicada
Non creder sempre cossì, Tansillo; perché qualche volta, quantunque
discuopriamo vizioso il spirito, non lasciamo però di rimaner accesi ed
allacciati; di maniera che, quantunque la raggion veda il male ed indignità
di tale amore, non ha però efficacia d'alienar il disordinato appetito.
Nella qual disposizion credo che fusse il Nolano, quando disse:
Cicada Però è molto propria ed a proposito quella distinzion che fanno intra l'amare e voler bene. Tansillo
E` vero; perché a molti vogliamo bene, cioè desideramo che siano savii
e giusti, ma non le amiamo, perché sono iniqui ed ignoranti; molti amiamo,
perché son belli, ma non gli vogliamo bene, perché non meritano. E tra
l'altre cose che stima l'amante quello non meritare, la prima è d'essere
amato; e però benché non possa astenersi d'amare, niente di meno gli ne
rincresce e mostra il suo rincrescimento, come costui che diceva: Oimè,
ch'io son costretto dal furore D'appigliarmi al mio male. In contraria
disposizione fu, o per altro oggetto corporale in similitudine, o per
suggetto divino in verità, quando disse:
Cicada Il divo dunque e vivo oggetto, ch'ei dice, è la specie intelligibile più alta che egli s'abbia possuto formar della divinità; e non è qualche corporal bellezza che gli adombrasse il pensiero, come appare in superficie del senso? Tansillo Vero, perché nessuna cosa sensibile, né specie di quella, può inalzarsi a tanta dignitade. Cicada Come dunque fa menzione di quella specie per oggetto, se, come mi pare, il vero oggetto è la divinità istessa? Tansillo La è oggetto finale, ultimo e perfettissimo, non già in questo stato dove non possemo veder Dio se non come in ombra e specchio; e però non ne può esser oggetto se non in qualche similitudine; non tale qual possa esser abstratta ed acquistata da bellezza ed eccellenza corporea per virtù del senso; ma qual può esser formata nella mente per virtù de l'intelletto. Nel qual stato ritrovandosi, viene a perder l'amore ed affezion d'ogni altra cosa tanto sensibile quanto intelligibile; perché questa congionta a quel lume dovien lume essa ancora, e per consequenza si fa un Dio: perché contrae la divinità in sé, essendo ella in Dio per la intenzione con cui penetra nella divinità (per quanto si può), ed essendo Dio in ella, per quanto dopo aver penetrato viene a conciperla e (per quanto si può) a ricettarla e comprenderla nel suo concetto. Or di queste specie e similitudini si pasce l'intelletto umano da questo mondo inferiore, sin tanto che non gli sia lecito de mirar con più puri occhi la bellezza della divinitade. Come accade a colui che è gionto a qualch'edificio eccellentissimo ed ornatissimo, mentre va considerando cosa per cosa in quello, si aggrada, si contenta, si pasce d'una nobil maraviglia; ma se avverrà poi che vegga il signor di quelle imagini, di bellezza incomparabilmente maggiore, lasciata ogni cura e pensiero di esse, tutto è volto ed intento a considerar quell'uno. Ecco dunque come è differenza in questo stato dove veggiamo la divina bellezza in specie intelligibili tolte da gli effetti, opre, magisteri, ombre e similitudini di quella; ed in quell'altro stato dove sia lecito di vederla in propria presenza. Dice appresso: Pascomi d'alt'impresa, perché (come notano gli pitagorici) cossì l'anima si versa e muove circa Dio, come il corpo circa l'anima. Cicada Dunque, il corpo non è luogo de l'anima? Tansillo Non; perché l'anima non è nel corpo localmente, ma come forma intrinseca e formatore estrinseco; come quella che fa gli membri, e figura il composto da dentro e da fuori. Il corpo dunque è ne l'anima, l'anima nella mente, la mente o è Dio, o è in Dio, come disse Plotino: cossì come per essenza è in Dio che è la sua vita, similmente per l'operazione intellettuale e la voluntà conseguente dopo tale operazione, si referisce alla sua luce e beatifico oggetto. Degnamente dunque questo affetto de l'eroico furore si pasce de sì alta impresa. Né per questo che l'obietto è infinito, in atto simplicissimo, e la nostra potenza intellettiva non può apprendere l'infinito se non in discorso, o in certa maniera de discorso, com'è dire in certa raggione potenziale o aptitudinale, è come colui che s'amena a la consecuzion de l'immenso onde vegna a constituirse un fine dove non è fine. Cicada Degnamente, perché l'ultimo fine non deve aver fine, atteso che sarebe ultimo. E` dunque infinito in intenzione, in perfezione, in essenza ed in qualsivoglia altra maniera d'esser fine. Tansillo Dici il vero. Or in questa vita tal pastura è di maniera tale, che più accende, che possa appagar il desìo, come ben mostra quel divino poeta, che disse: Bramando è lassa l'alma a Dio vivente; ed in altro luogo: Attenuati sunt oculi mei suspicientes in excelsum. Però dice: E bench'il fin bramato non consegua, E 'n tanto studio l'alma si dilegua, Basta che sia sì nobilmente accesa: vuol dire, ch'in tanto l'anima si consola e riceve tutta la gloria che può ricevere in cotal stato, e che sia partecipe di quell'ultimo furor de l'uomo, in quanto uomo di questa condizione, nella qual si trova adesso, e come ne veggiamo. Cicada Mi par che gli peripatetici (come esplicò Averroe) vogliano intender questo, quando dicono la somma felicità de l'uomo consistere nella perfezione per le scienze speculative. Tansillo E` vero, e dicono molto bene; perché noi in questo stato nel qual ne ritroviamo, non possiamo desiderar né ottener maggior perfezione che quella in cui siamo quando il nostro intelletto mediante qualche nobil specie intelligibile s'unisce o alle sustanze separate, come dicono costoro, o a la divina mente, come è modo de dir de platonici. Lascio per ora di raggionar de l'anima, o uomo in altro stato e modo di essere che possa trovarsi o credersi. Cicada Ma che perfezione o satisfazione può trovar l'uomo in quella cognizione la quale non è perfetta? Tansillo Non sarà mai perfetta per quanto l'altissimo oggetto possa esser capito, ma per quanto l'intelletto nostro possa capire: basta che in questo ed altro stato gli sia presente la divina bellezza per quanto s'estende l'orizonte della vista sua. Cicada Ma de gli uomini non tutti possono giongere a quello dove può arrivar uno o doi. Tansillo Basta che tutti corrano; assai è ch'ognun faccia il suo possibile; perché l'eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell'alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a perfezione in cose men nobili e basse. Cicada Certo che meglio è una degna ed eroica morte, che un indegno e vil trionfo. Tansillo
A cotal proposito feci questo sonetto:
Cicada Io intendo quel che dice: basta ch'alto mi tolsi; ma non quando dice: e da l'ignobil numero mi sciolsi, s'egli non intende d'esser uscito fuor de l'antro platonico, rimosso dalla condizion della sciocca ed ignobilissima moltitudine; essendo che quei che profittano in questa contemplazione, non possono esser molti e numerosi. Tansillo Intendi molto bene. Oltre, per l'ignobil numero può intendere il corpo e sensual cognizione, dalla quale bisogna alzarsi e disciôrsi chi vuol unirsi alla natura di contrario geno. Cicada Dicono gli platonici due sorte de nodi con gli quali l'anima è legata al corpo. L'uno è certo atto vivifico che da l'anima come un raggio scende nel corpo; l'altro è certa qualità vitale che da quell'atto risulta nel corpo. Or questo numero nobilissimo movente, ch'è l'anima, come intendete che sia disciolto da l'ignobil numero, ch'è il corpo? Tansillo
Certo non s'intendeva secondo alcun modo di questi; ma secondo quel
modo con cui le potenze che non son comprese e cattivate nel grembo de
la materia, e qualche volta come sopite ed inebriate si trovano quasi
ancora esse occupate nella formazion della materia e vivificazion del
corpo; talor come risvegliate e ricordate di se stesse, riconoscendo il
suo principio e geno, si voltano alle cose superiori, si forzano al mondo
intelligibile, come al natio soggiorno; quali tal volta da là, per la
conversione alle cose inferiori, si son trabalsate sotto il fato e termini
della generazione. Questi doi appolsi son figurati nelle due specie de
metamorfosi espresse nel presente articolo che dice:
Cicada Sì che vogliono costoro che l'anime sieno spinte dalla necessità del fato, e non hanno proprio consiglio che le guide a fatto? Tansillo Necessità, fato, natura, consiglio, voluntà nelle cose giustamente e senza errore ordinate, tutti concorreno in uno. Oltre che, come riferisce Plotino, vogliono alcuni che certe anime possono fuggir quel proprio male, le quali prima che se gli confirme l'abito corporale, conoscendo il periglio, rifuggono alla mente. Perché la mente l'inalza alle cose sublimi, come l'imaginazion l'abbassa alle cose inferiori; la mente le mantiene nel stato ed identità come l'imaginazione nel moto e diversità; la mente sempre intende uno, come l'imaginazione sempre vassi fingendo varie imagini. In mezzo è la facultà razionale la quale è composta de tutto, come quella in cui concorre l'uno con la moltitudine, il medesimo col diverso, il moto col stato, l'inferiore col superiore. Or questa conversione e vicissitudine è figurata nella ruota delle metamorfosi, dove siede l'uomo nella parte eminente, giace una bestia al fondo, un mezzo uomo e mezzo bestia descende dalla sinistra, ed un mezzo bestia e mezzo uomo ascende de la destra. Questa conversione si mostra dove Giove, secondo la diversità de affetti e maniere di quelli verso le cose inferiori, s'investisce de diverse figure, dovenendo in forma de bestie; e cossì gli altri dei transmigrano in forme basse ed aliene. E per il contrario, per sentimento della propria nobiltà, ripigliano la propria e divina forma: come il furioso eroico, inalzandosi per la conceputa specie della divina beltà e bontade, con l'ali de l'intelletto e voluntade intellettiva s'inalza alla divinitade, lasciando la forma de suggetto più basso. E però disse: Da suggetto più vil dovegno un Dio, Mi cangio in Dio da cosa inferiore. Fine
del terzo dialogo |