DIALOGO SECONDO
INTERLOCUTORI
Tansillo, Cicada, Filenio, Pastore
Tansillo
Or qua comincia il furioso a mostrar gli affetti suoi e discuoprir le
piaghe che sono per segno nel corpo, ed in sustanza o in essenza nell'anima;
e dice cossì:
Cicada Non è dunque delettazione senza contrarietà? Tansillo
Certo non, come senza contrarietà non è dolore; qualmente manifesta quel
pitagorico Poeta, quando dice:
Cicada Da qua si vede che l'ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale; e questa medesima è l'orto del paradiso de gli animali; come si fa chiaro nelli dialogi de la Cabala del cavallo Pegaseo e per quel che dice il sapiente Salomone: chi aumenta sapienza, aumenta dolore. Tansillo Da qua avviene che l'amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore; ma e del futuro e de l'absente, e del contrario sente l'ambizione, emulazione, suspetto e timore. Indi dicendo una sera dopo cena un certo de nostri vicini: - Giamai fui tanto allegro quanto sono adesso; - gli rispose Gioan Bruno, padre del Nolano: - Mai fuste più pazzo che adesso. - Cicada Volete dunque, che colui che è triste, sia savio, e quell'altro ch'è più triste, sia più savio? Tansillo Non, anzi intendo in questi essere un'altra specie di pazzia, ed oltre peggiore. Cicada Chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch'è contento, e pazzo è colui ch'è triste? Tansillo Quel che non è contento, né triste. Cicada Chi? quel che dorme? quel ch'è privo di sentimento? quel ch'è morto? Tansillo No; ma quel ch'è vivo, vegghia ed intende; il quale considerando il male ed il bene, stimando l'uno e l'altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine (di sorte ch'il fine d'un contrario è principio de l'altro, e l'estremo de l'uno è cominciamento de l'altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nell'inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch'a lui il piacere non è piacere, per aver come presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossì il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose che non sono, ed afferma quelle non esser altro che vanità ed un niente; perché il tempo a l'eternità ha proporzione come il punto a la linea. Cicada Sì che mai possiamo tener proposito d'esser contenti o mal contenti, senza tener proposito de la nostra pazzia, la qual espressamente confessiamo; là onde nessun che ne raggiona, e per consequenza nessun che n'è participe, sarà savio; ed infine tutti gli omini saran pazzi. Tansillo Non tendo ad inferir questo; perché dirò massime savio colui che potesse veramente dire talvolta il contrario di quel che quell'altro: - Giamai fui men allegro che adesso; - over: - Giamai fui men triste che ora. - Cicada Come? non fai due contrarie qualitadi dove son doi affetti contrarii? perché, dico, intendi come due virtudi, e non come un vizio ed una virtude l'esser minimamente allegro e l'esser minimamente triste? Tansillo Perché ambi doi li contrarii in eccesso (cioè per quanto vanno a dar su quel più) son vizii, perché passano la linea; e gli medesimi in quanto vanno a dar sul meno, vegnono ad esser virtude, perché si contegnono e rinchiudono intra gli termini. Cicada Come l'esser men contento e l'esser men triste non son una virtù ed un vizio, ma son due virtudi? Tansillo Anzi dico che son una e medesima virtude; perché il vizio è là dove è la contrarietade; la contrarietade è massime là dove è l'estremo; la contrarietà maggiore è la più vicina all'estremo; la minima o nulla è nel mezzo, dove gli contrarii convegnono e son uno ed indifferente: come tra il freddissimo e caldissimo è il più caldo ed il più freddo, e nel mezzo puntuale è quello che puoi dire o caldo e freddo, o né caldo né freddo, senza contrarietade. In cotal modo chi è minimamente contento e minimamente allegro, è nel grado della indifferenza, si trova nella casa della temperanza, e là dove consiste la virtude e condizion d'un animo forte, che non vien piegato da l'Austro né da l'Aquilone. Ecco dunque, per venir al proposito, come questo furor eroico, che si chiarisce nella presente parte, è differente dagli altri furori più bassi, non come virtù dal vizio, ma come un vizio ch'è in un suggetto più divino o divinamente, da un vizio ch'è in un suggetto più ferino o ferinamente: di maniera che la differenza è secondo gli suggetti e modi differenti, e non secondo la forma de l'esser vizio. Cicada Molto ben posso, da quel ch'avete detto, conchiudere la condizion di questo eroico furore che dice: gelate ho spene, e li desir cuocenti; perché non è nella temperanza della mediocrità, ma nell'eccesso delle contrarietadi; ha l'anima discordevole, se triema nelle gelate speranze, arde negli cuocenti desiri; è per l'avidità stridolo, mutolo per il timore; sfavilla dal core per cura d'altrui, e per compassion di sé versa lacrime da gli occhi; muore ne l'altrui risa, vive ne' proprii lamenti; e (come colui che non è più suo) altri ama, odia se stesso: perché la materia, come dicono gli fisici, con quella misura ch'ama la forma absente, odia la presente. E cossì conclude nell'ottava la guerra ch'ha l'anima in se stessa; e poi quando dice ne la sestina, ma s'io m'impiumo, altri si cangia in sasso, e quel che séguita, mostra le sue passioni per la guerra ch'essercita con li contrarii esterni. Mi ricordo aver letto in Iamblico, dove tratta degli Egizii misterii, questa sentenza: Impius animam dissidentem habet: unde nec secum ipse convenire potest neque cum aliis. Tansillo
Or odi un altro sonetto di senso consequente al detto:
Cicada Come con questo che non è proprio de l'uno né de l'altro estremo, non viene ad essere in stato o termine di virtude? Tansillo Allora è in stato di virtude, quando si tiene al mezzo, declinando da l'uno e l'altro contrario: ma quando tende a gli estremi, inchinando a l'uno e l'altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio; il qual consiste in questo, che la cosa recede dalla sua natura, la perfezion della quale consiste nell'unità; e là dove convegnono gli contrarii, consta la composizione e consiste la virtude. Ecco dunque come è morto vivente, o vivo moriente; là onde dice: In viva morte morta vita vivo. Non è morto, perché vive ne l'oggetto; non è vivo, perché è morto in se stesso; privo di morte, perché parturisce pensieri in quello; privo di vita, perché non vegeta o sente in se medesimo. Appresso, è bassissimo per la considerazion de l'alto intelligibile e la compresa imbecillità della potenza. E` altissimo per l'aspirazione dell'eroico desio che trapassa di gran lunga gli suoi termini; ed è altissimo per l'appetito intellettuale, che non ha modo e fine di gionger numero a numero; è bassissimo per la violenza fattagli dal contrario sensuale che verso l'inferno impiomba. Onde trovandosi talmente poggiar e descendere, sente ne l'alma il più gran dissidio che sentir si possa; e confuso rimane per la ribellion del senso, che lo sprona là d'onde la raggion l'affrena, e per il contrario. Il medesimo affatto si dimostra nella seguente sentenza, dove la raggione in nome de Filenio dimanda, ed il furioso risponde in nome di Pastore, che alla cura del gregge o armento de suoi pensieri si travaglia, quai pasce in ossequio e serviggio de la sua ninfa, ch'è l'affezione di quell'oggetto alla cui osservanza è fatto cattivo. Filenio Pastor! Pastore Che vuoi? Filenio Che fai? Pastore Doglio. Filenio Perché? Pastore Perché non m'ha per suo vita, né morte. Filenio Chi fallo? Pastore Amor. Filenio Quel rio? Pastore Quel rio. Filenio Dov'è? Pastore Nel centro del mio cor se tien sì forte. Filenio Che fa? Pastore Fere. Filenio Chi? Pastore Me. Filenio Te? Pastore Sì. Filenio Con che? Pastore Con gli occhi, de l'inferno e del ciel porte. Filenio Speri? Pastore Spero. Filenio Mercé? Pastore Mercé. Filenio Da chi? Pastore Da chi sì mi martora nott'e dì. Filenio Hanne? Pastore Non so. Filenio Sei folle. Pastore Che, se cotal follia a l'alma piace? Filenio Promette? Pastore No. Filenio Niega? Pastore Né meno. Filenio Tace? Pastore Sì, perché ardir tant'onestà mi tolle. Filenio Vaneggi. Pastore In che? Filenio Nei stenti. Pastore Temo il suo sdegno, più che miei tormenti. Qua
dice che spasma: lamentasi dell'amore, non già perché ami (atteso che
a nessuno veramente amante dispiace l'amare), ma perché infelicemente
ami, mentre escono que' strali che son gli raggi di quei lumi, che medesimi,
secondo che son protervi e ritrosi, overamente benigni e graziosi, vegnono
ad esser porte che guidano al cielo, overamente a l'inferno. Con questo
vien mantenuto in speranza di futura ed incerta mercé, ed in effetto di
presente e certo martìre. E quantunque molto apertamente vegga la sua
follia, non per tanto avvien che in punto alcuno si correga, o che almen
possa conciperne dispiacere; perché tanto ne manca, che più tosto in essa
si compiace, come mostra dove dice:
Cicada Con questo dimostra l'amor suo esser veramente eroico, perché si propone per più principal fine la grazia del spirito e la inclinazion de l'affetto, che la bellezza del corpo, in cui non si termina quell'amor ch'ha del divino. Tansillo Sai bene che come il rapto platonico è di tre specie, de quali l'uno tende alla vita contemplativa o speculativa, l'altro a l'attiva morale, l'altro a l'ociosa e voluptuaria; cossì son tre specie d'amori, de quali l'uno dall'aspetto della forma corporale s'inalza alla considerazione della spirituale e divina; l'altro solamente persevera nella delettazion del vedere e conversare; l'altro dal vedere va a precipitarsi nella concupiscenza del toccare. Di questi tre modi si componeno altri, secondo che o il primo s'accompagna col secondo, o che s'accompagna col terzo, o che concorreno tutti tre modi insieme; de li quali ciascuno e tutti oltre si moltiplicano in altri, secondo gli affetti de furiosi che tendeno o più verso l'obietto spirituale, o più verso l'obietto corporale, o equalmente verso l'uno e l'altro. Onde avviene che di quei che si ritrovano in questa milizia e son compresi nelle reti d'amore, altri tendeno a fin del gusto che si prende dal raccôrre le poma da l'arbore de la corporal bellezza, senz'il qual ottento (o speranza al meno) stimano degno di riso e vano ogni amoroso studio; ed in cotal modo corrono tutti quei che son di barbaro ingegno, che non possono né cercano magnificarsi, amando cose degne, aspirando a cose illustri, e, più alto, a cose divine accomodando gli suoi studi e gesti, a i quali non è chi possa più ricca- e comodamente suppeditar l'ali, che l'eroico amore; altri si fanno avanti a fin del frutto della delettazione che prendeno da l'aspetto della bellezza e grazia del spirito che risplende e riluce nella leggiadria del corpo; e de tali alcuni, benché amino il corpo e bramino assai d'esser uniti a quello, della cui lontananza si lagnano e disunion s'attristano, tutta volta temeno che, presumendo in questo, non vegnan privi di quell'affabilità, conversazione, amicizia ed accordo, che gli è più principale: essendo che dal tentare non più può aver sicurezza di successo grato, che gran tema di cader da quella grazia, qual, come cosa tanto gloriosa e degna, gli versa avanti gli occhi del pensiero. Cicada
E` cosa degna, o Tansillo, per molte virtudi e perfezioni, che quindi
derivano nell'umano ingegno, cercar, accettar, nodrire e conservar un
simile amore; ma si deve ancora aver gran cura di non abbattersi ad ubligarsi
ad un oggetto indegno e basso, a fin che non vegna a farsi partecipe della
bassezza ed indignità del medesimo, in proposito de quali intendo il conseglio
del poeta ferrarese:
Fine
del secondo dialogo |