Il problema etico del 'reditus' nel pensiero di Niccolò Cusano: 'Visio Intellectualis' e 'Theosis'
I) Dio, la creazione ed il ritorno della creatura a Dio: 'exitus' e 'reditus'
Per l’intero arco della sua speculazione filosofica, il concetto al quale Cusano fa costante riferimento nella sua indagine intorno all’essenza divina, è propriamente quello del ‘maximum absolutum’. Tale concetto domina la sua prima opera di largo respiro, il De Docta Ignorantia, composta tra il 1438 ed il 1440 al ritorno dal suo viaggio a Costantinopoli, ma verrà ripreso in tutte le opere successive, ampliato e precisato alla luce di nuove e originali formulazioni terminologiche. Dice Cusano nelle prime pagine del De Docta Ignorantia: "Maximum autem hoc dico, quo nihil maius esse potest". Dio è per Cusano il massimo assoluto, precisamente nel senso anselmiano di ciò rispetto al quale nulla può essere maggiore. Per Cusano, il massimo assoluto non è un concetto quantitativo, rispetto al quale si debba supporre un termine comparativo: esso è coincidentia di maxime esse e di minime esse. L’essere infinitamente grande ed infinitamente piccolo, in Dio coincidono: come infinita pienezza d’essere, Dio è la totalità dell’essere che come tale tutto include in sé. Fra le cose del mondo sensibile non ve ne è nessuna di cui non se ne possa potenzialmente dare una maggiore o minore; dato un ente costituito da una determinata quantità, è sempre dabile un altro ente di quantità maggiore o minore: "Nihil est nominabile, quo non possit maius aut minus dari, cum nomina iis attributa sint rationis motu, quae excedens admittunt aut excessum". Ma in Dio, continua Cusano, tutto ciò non può avvenire, in quanto, essendo Egli infinita pienezza d’essere, è altresì infinitamente grande ed infinitamente piccolo, ovvero in Dio l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo coincidono. Dio è una tal infinita sovrabbondanza d’essere da includere in sé la totalità dell’essere. Il massimo assoluto, come totalità dell’essere, è in uno, pienamente, tutto ciò che può essere, ovvero è altresì assoluta unità: "Abundantia vero uni convenit; coincidit itaque maximitati unitas, quae est et entitas". Nel De Possest, opera posteriore al De Docta Ignorantia di circa un ventennio, Cusano ribadirà questi stessi concetti, ricorrendo ad una terminologia di matrice aristotelica concernente la potenza e l’atto. Dio è per Cusano il ‘Possest’, ovvero la sintesi di Posse e di Est. Se i singoli enti finiti sono in atto solamente ciò che possono essere, se il loro essere è limitato al determinato quid che sono, Dio come infinita pienezza di essere è in atto tutto ciò cui può esser attribuita la possibilità di essere. Dio è già sempre in atto ogni possibilità di essere, ovvero in Dio ogni possibilità d’essere è già sempre tradotta in atto. Dice Cusano: "Tunc Deus omne id est actu de quo posse esse potest verificari. Nihil enim esse potest quod Deus actu non sit". Come omne id quod esse potest, Dio non può essere maggiore o minore di ciò che è. In ragione della sua infinità e del suo essere già sempre in atto ogni possibilità, il massimo assoluto è così, per Cusano, coincidentia oppositorum, coincidentia cioè di minime esse e di maxime esse. A Dio ed in Dio, nulla si oppone: il massimo assoluto è superiore ad ogni opposizione. Tale concetto di Dio come massimità e infinita pienezza d’essere, manifesta per un verso l’assoluta alterità di Dio rispetto a qualsivoglia ente finito e limitato. Se è vero, infatti, che l’essere che costituisce ogni singolo ente finito è un determinato ‘esser qualcosa’, un determinato quid che circoscrive e limita l’ente finito stesso all’essere che è e lo distingue da tutti gli altri che come tale non è, è altresì vero che Dio come infinita pienezza d’essere è assoluta esclusione di alterità: essendo Dio tutto, nulla vi è rispetto a cui Egli possa esser altro. In questo senso Cusano definirà Dio, nello scritto Directio speculantis seu de non aliud del 1461, proprio come Non-Aliud. Dio è Non-Aliud precisamente perché in lui non vi è alterità alcuna, ovvero Dio è pienamente se stesso in quanto infinita pienezza d’essere. Ma proprio qui emerge altresì l’assoluta identità dell’essere di Dio con l’essere dei singoli enti finiti. Se infatti Dio è l’infinita pienezza d’essere che come tale tutto include ed è non-aliud rispetto a tutto, Dio è altresì tutte le cose. In questo senso Dio è assolutamente identico alle creature nella loro totalità. I singoli enti finiti sono quel determinato quid che li delimita e li definisce, proprio in virtù della loro partecipazione all’essere nella sua totalità. I singoli enti finiti sono se stessi proprio in virtù del fatto che Dio è se stesso. Dunque, il massimo è la pienezza dell’essere, la sua totalità, non soltanto nel senso che egli è tutto ciò che può essere, ma altresì nel senso che egli è l’essere di ogni ente. Gli enti finiti possono essere ciò che sono solamente in virtù della loro partecipazione all’essere dell’Assoluto. Senza questa partecipazione all’unico essere, la creatura non avrebbe possibilità di essere. Essendo Dio infinita pienezza di essere, unità semplice, al di fuori di Lui nulla è: tutto è già sempre presente nel suo essere. In un certo senso, è possibile dire che l’essere assoluto sia l’unico essere, in quanto tutto da lui dipende, per l’origine, per il fondamento e per la sussistenza. Cusano ricorre ai termini ben noti di complicatio ed explicatio per chiarire questa posizione: tutte le cose sono complicative in Dio e Dio è explicative in tutte le cose, ovvero nell’essere quel determinato e finito quid che sono. Dice Cusano: "Hoc tamen scire, quod tu ignoras modum, licet etiam scias Deum omnium rerum complicationem et explicationem, et – ut est complicatio – omnia in ipso esse ipse, et – ut est explicatio – ipsum in omnibus esse id quo sunt". Dio è omnia complicans proprio nel senso che Dio, come totalità dell’essere, è il fondamento dell’essere di ogni ente. Dio è omnia explicans nel senso che Dio dà origine alla molteplicità del finito, la quale ha in lui il suo stesso essere. Identificando il massimo assoluto con la assoluta unità, Cusano può sostenere che, come il numero è nulla senza l’unità, così la creatura è nulla senza Dio. La creatura dipende da Dio, precisamente nel senso che Dio costituisce il suo stesso essere: "Si consideras res sine eo ita nihil sunt, sicut numerus sine unitate". Come nei numeri, i quali non sono altro che esplicazione dell’unità, non si trova altro che l’uno, così in tutte le cose non si trova altro che l’essere, il massimo assoluto, Dio: "Sicut numero esplicante unitatem non reperitur nisi unitas, ita in omnibus, quae sunt, non nisi maximum reperitur". Le creature senza Dio sono nulla, precisamente perché Dio è l’essere di cui esse sono costituite. Se Dio come massimo assoluto e come assoluta unità è la totalità dell’essere in cui sussiste ogni ente, è evidente che la creazione non può essere intesa da Cusano se non come costituzione ed assunzione del finito nell’essere stesso di Dio. La creazione è per Cusano conferimento dell’essere: senza questo conferimento, la creatura è nulla. Nella concezione cusaniana propriamente neoplatonica della creazione, l’essere della creatura non è esse, ma descendit de esse. Dice infatti Cusano: « Docuit nos sacra ignorantia in prioribus nihil a se esse nisi maximum simpliciter, ubi a se, in se, per se omnia idem sunt, ipsum scilicet absolutum esse; necesseque esse omne quod est, id quod est in quantum est ab ipso esse; quomodo enim id quod a se non est aliter esse potest quam ab aeterno esse?». Per Cusano, l’essere della creatura si risolve totalmente nel suo rapporto di dipendenza da Dio: il suo essere è un ab-esse, un esse ab-alio. Per meglio chiarire il significato dell’ab-esse della creatura, nel De Docta Ignorantia Cusano stabilisce una proporzione fra il rapporto accidente-sostanza e il rapporto creatura-Dio. Come infatti, dice il Nostro, l’essere dell’accidente è in funzione dell’essere della sostanza, così l’essere della creatura è in funzione dell’essere di Dio: "Tolle Deum a creatura et remanet nihil; tolle substantiam a composito et non remanet aliquod accidens et ita nihil remanet". La creatura, lungi dall’esser assimilabile ad una sostanza, è piuttosto assimilabile ad un accidente e con esso condivide la caratteristica di essere ab-alio. Caratteristica primaria degli enti è, dunque, il loro essere accidentali ed ontologicamente dipendenti, tali da dover necessitare che l’essere in virtù del quale essi sussistono venga ad essi permanentemente donato e conferito da colui che solo possiede ed è l’essere. Per Cusano, dunque, l’atto creatore si identifica con l’essere stesso di Dio, ma non dà luogo ad atti di essere distinti dall’infinita attualità di Dio. La creazione come explicatio non va oltre l’essere di Dio; il termine della creazione, la creatura, si risolve tutto nella relazione creativa che, come tale, intrattiene con Dio: il suo essere è un esse ab-alio. Sebbene l’esse della creatura si risolva nell’ab-esse dal Creatore, ciò non compromette tuttavia l’indipendenza di Dio rispetto alla creazione. Il massimo, infatti, non è circoscritto da alcun ente. Se consideriamo le creature prescindendo da Dio, dice Cusano, esse sono nulla: "Si consideras res sine eo, ita nihil sunt, sicut numerus sine unitate". Se consideriamo Dio prescindendo dalle creature, Dio è, ed esse sono altresì nulla: "Si consideras ipsum sine rebus, ipse est et res sunt nihil". Gli stessi concetti di complicatio ed explicatio vanno intesi in riferimento alla creatura e non riguardano Dio in sé considerato: Dio è complicatio come fondamento dell’essere creaturale ed è explicatio come l’atto in cui sussistono gli enti. Il Massimo in atto in tanto è immanente in ogni creatura costituendone l’essere medesimo, in quanto non si risolve in alcuna di esse, ma infinitamente le trascende. Certo la risoluzione dell’essere creaturale nell’esse Dei e insieme la assoluta trascendenza di Dio, non possono per Cusano essere colte dalla ragione umana che distingue e separa i concetti. La creatura, proprio in quanto ab-esse, manifesta dunque la propria precarietà ontologica. Dice Cusano: "Cum autem causatum sit penitus a causa, et a se nihil, et originem atquae rationem, qua est id quod est, quanto propinquiuis et similius potest, concomitetur, patet difficile contractionis naturam attingi, esemplari absoluto incognito". Il causato, da sé, è nulla e dipende per intero dalla propria causa. Ma il causato dipende dalla causa non solo in quanto al suo ‘venire ad essere’, bensì anche in quanto alla sua ‘permanenza nell’essere’. Dal passo sopra citato emerge non solo la relazione di dipendenza originaria del causato dalla propria causa, ma altresì il legame ontologico che lega "quanto propinquius et similius potest" la creatura a Dio, nel suo essere creatura. Gli enti sono in relazione a Dio non solo in quanto da lui creati, ma anche in quanto a lui permanentemente legati da codesta dipendenza ontologica. Perché la creatura sia, è necessario non solo che Dio la faccia essere, le conferisca l’essere, ma altresì che la mantenga nell’essere. Questa posizione manifesta così la deficienza ontologica che contraddistingue la creatura in quanto tale e, per ciò stesso, la statuisce come intrinseco e continuo bisogno di Dio. Che la creatura non sia a-se, ma sia ab-alio, significa che essa mantiene con Dio un rapporto di dipendenza ontologica anche in relazione al suo continuare ad essere. La creatura, nel suo venire ad essere, è già sempre rivolta a Dio come all’origine ed al fondamento ontologico del proprio essere. Il creare di Dio, dunque, è un tal creare che pone immediatamente gli enti nel bisogno che Dio rinnovi costantemente il ‘dono’ dell’essere. Questa deficienza ontologica propria delle creature in quanto tali, fa sì che esse, proprio in quanto bisognose, siano già sempre orientate verso Dio, come a colui che solo può soddisfare il loro bisogno di essere. Nel De Sapientia, Cusano utilizza la metafora dell’immagine e dell’esemplare per spiegare proprio questo specifico aspetto della creatura. L’esemplare è per l’immagine non solo l’origine, ma anche la sua ragion d’essere in quanto immagine: senza l’esemplare, l’immagine nulla sarebbe, ovvero sarebbe immagine di nulla. Dice Cusano: "Non enim quietatur imago nisi in eo cuius est imago, a quo habet principium, medium et finem". L’esemplare è per l’immagine il principio, il mezzo ed il fine. È il principio in quanto da esso l’immagine ha origine; è il mezzo in quanto per esso essa continua ad essere immagine; è fine in quanto proprio nell’esemplare l’immagine trova la propria completa realizzazione. Emerge da questo passo un ulteriore elemento di fondamentale importanza al fine del nostro discorso. Abbiamo visto come Dio sia l’origine delle creature, ovvero l’essere dal quale i singoli enti traggono la propria origine. Abbiamo visto come l’essere di Dio sia altresì il fondamento ontologico delle creature, senza del quale la creatura non può sussistere nell’essere. Dal passo sopraccitato emerge altresì come per Cusano, Dio sia anche il fine teleologico al quale ogni creatura tende. Cusano afferma infatti che, se è vero che l’immagine è immagine di un esemplare, è altresì vero che l’immagine non trova la propria pace se non proprio in esso. L’esemplare è per l’immagine il principio non solo nel senso di principium e medium, ma altresì di finem. È finem precisamente nel senso che: "Vita enim imaginis non potest in se quiescere, cum sit vita vitae veritatis et non sua. Hinc movetur ad exemplar ut ad veritatem sui esse". L’immagine, come tale, non ha un essere proprio, ma deriva il proprio essere da ciò di cui è immagine, ovvero dal proprio esemplare. L’essere dell’immagine rimanda all’essere dell’esemplare come all’essere dal quale trae origine e dipende. Questo rimando è la condizione abituale e specifica dell’immagine in quanto tale. Per questo, dice Cusano, l’immagine si muove verso il proprio esemplare: si muove cioè verso la verità del proprio essere. Allo stesso modo, Dio non è solo l’essere dal quale tutto discende e in virtù del quale tutto esiste, ma anche l’essere verso il quale tutto tende. Dio non solo è origine e fondamento del creato, ma in tale prospettiva è anche il fine teleologico al quale tutte le creature tendono. Emerge da queste espressioni il richiamo da parte di Cusano a quella concezione eminentemente neoplatonica del reditus, secondo la quale il creato ripercorre a ritroso il processo emanativo della creazione, ricongiungendosi alla propria origine. Presupposto di tale concezione è, come si è visto, il concetto di dipendenza ontologica della creatura dal proprio creatore e di bisogno radicale quale condizione abituale della creatura finita terrena. La creatura in quanto bisognosa, in quanto ontologicamente deficitaria, si trova, nella sua esistenza finita e terrena, essenzialmente orientata verso la propria origine, proprio in quanto da quest’ultima dipende non solo il suo venire al mondo, ma anche il suo sussistere nel mondo. Che la creatura sia già sempre rivolta verso Dio come a quell’essere dal quale dipende per l’origine e per il fondamento, non significa altro che essa già sempre sia teleologicamente tesa verso Dio. Tale tensione teleologica, per Cusano, si manifesta attraverso una sorta di desiderio dell’essere intrinseco ad ogni creatura. È questo quel desiderium naturale Dei, quell’appetito naturale inerente all’essenza dei singoli enti finiti, peculiare di ogni metafisica propriamente neoplatonico-cristiana. Dice Cusano: "(Causa vera) est fons omnis desiderii. Et cum omnia appetant esse, in omnibus est desiderium ab ipso fonte desiderii, in quo in idem coincidit esse et desiderium". Quel bisogno radicale caratteristico della creatura e necessaria conseguenza della sua intrinseca nullità e deficienza ontologica, si manifesta attraverso il desiderio dell’essere. Tale desiderio proviene dalla stessa fonte del desiderio, cioè proviene da Dio stesso, che crea in modo tale da porre ciò che crea già sempre rivolto ed orientato verso di Lui. Indipendentemente dalla natura propria di ciascuna creatura e dal modo in cui tale desiderio si manifesti in esse, tutte le creature desiderano Dio ed a Lui tendono: "Igitur omnium desiderium est secundum esse, ut rationalia rationabiliter, sensibilia sensibiliter, et sic de aliis, esse appetant et hoc quidam optime. Omnia igitur optimum, sed suo modo, desiderant". Che tutte le cose desiderino Dio dimostra, per Cusano, non solo che la creatura, in quanto tale, è sempre deficitaria dell’essere e che quindi le è intrinseca una radicale carenza ontologica, ma dimostra altresì che tutte le creature tendono ad un unico fine come al loro vero essere: "Unum et idem est absolutum bonum, ad quod omnia vocata esse omnium desiderium ostendit". Tale desiderio non è dunque un desiderio contingente ed accessorio, ma radicale e permanente, che inerisce, cioè, alla natura deficitaria e necessitante intrinseca della creatura. Tutte le creature tendono a Dio come al proprio principio. La creazione, quindi, per Cusano, se da un lato è manifestazione ed effusione dall’essere di Dio, cioè exitus dalla sua infinita ed onnicomprensiva perfezione, è dall’altro lato già sempre sulla via del reditus a Lui. Dio non soltanto è il termine a quo della creazione, per cui tutte le creature sono state create; non soltanto è il termine in quo esse possono sussistere. Dio è altresì il termine ad quem delle creature, verso il quale esse tendono come al proprio fine ultimo. Ogni creatura è da Dio già sempre posta al mondo con il preciso intendimento di far ritorno a Dio. In virtù del suo essere già sempre rivolta verso Dio, ogni creatura tende attraverso un appetito naturale a tornare alla fonte stessa di tale appetito e nella quale ha fondamento il suo stesso essere. Il reditus della creatura a Dio viene così a manifestarsi, nel pensiero di Cusano, come una vera e propria tensione escatologica inerente ad ogni creatura in quanto tale. Questo appetito naturale dell’essere, contrassegno di ogni creatura in quanto tale, questo desiderium naturale dei, vero e proprio desiderio di ‘indiarsi’, di deificarsi, dimostra che tutte le cose sono state chiamate a Dio ed assicura, in ultimo, il felice completamento del ciclo exitus-reditus caratteristico della creazione stessa.
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