APOLOGIA DI SOCRATE.
Filosofia, educazione e dubbio. Breve introduzione. Primo scritto “socratico”
di Platone l’APOLOGIA SWCRATOUS sottointende due intenti. Innanzitutto
ha l’intento di descrivere con toni di biasimo la condanna a morte di
Socrate avvenuta ad Atene nel 399 a.c. Poi ha l’intento di tracciare
i contorni del carattere filosofico di Socrate stesso. Possiamo sostenere
non a torto che l’APOLOGIA SWCRATOUS sia non uno scritto di Platone, ma uno
scritto su Socrate. Perché Socrate è considerato da Platone un simbolo.
E’ simbolo di colui che unisce vita e filosofia. E l’APOLOGIA SWCRATOUS è una sorta di narrazione
simbolica. E’ un narrare di come vita concreta di un individuo e modo
di fare filosofia si riescano ad unire. E’ la narrazione di come una
“missione di educazione” vada a scaturire in maniera irrimediabile in
una condanna a morte. L’APOLOGIA SWCRATOUS è una difesa nei confronti di Socrate davanti
a due tribunali: il tribunale della storia ed il tribunale della filosofia.
Le funzioni narrative dello scritto sono due e si intersecano continuamente.
Celebrare l’innocenza di Socrate e caratterizzarne la dottrina. Descrizione
della vita e caratterizzazione della conoscenza. Così come nella stessa
filosofia socratica due sono i costituenti di una vita sensata: vivere
(virtuosamente) e conoscere. Anche essi si intersecano con una certa
continuità. Ecco come mai l’APOLOGIA SWCRATOUS è da considerarsi uno scritto su Socrate.
Perché – come abbiamo visto- anche in relazione alla struttura lo scritto
sembra ricalcare il nucleo filosofico della dottrina socratica. La descrizione storica
della condanna a morte è filosoficamente meno interessante della caratterizzazione
dottrinale di Socrate. Uno dei due intenti ci interessa meno. Tuttavia
è bene non tralasciarne l’analisi. Perché da un lato nella dottrina
socratica – come abbiamo detto- vita e filosofia si intrecciano. E dall’altro
la descrizione storica della condanna a morte di Socrate è anche descrizione
storica del funzionamento di tribunali, e l’analisi del funzionamento
dei tribunali ci conduce ad alcune riflessioni ius-filosofiche. Prendiamo
in considerazione inizialmente la caratterizzazione socratica. Destiniamo
ad un breve excursus la trattazione della condanna a morte e
del funzionamento dei tribunali ellenici. Data un’idea del lavoro, entriamo
nel vivo dell’introduzione. L’idea di Platone è innanzitutto di caratterizzare
filosoficamente Socrate. E Socrate è caratterizzato in chiave anti-sofistica
[1]
. Che cosa si intende con Sofistica? La Sofistica
è – come tutti sanno- una corrente culturale nata ad Atene nel V secolo
a.c. sulle ali delle trionfanti vittorie della Grecia unita sui Persiani.
Caratteristica fondamentale di tale corrente culturale è l’avere in
se una radicata anima retorica. Anima retorica che – come non tutti
sanno- tende storicamente a dividersi in due sotto-anime. C’è la retorica
volta alla conoscenza della sofistica iniziale e la retorica “eristica”
della sofistica minore. Affermare che Socrate sia anti-sofista vuole
dire sostenere che Socrate sia contrario alla tradizione eristica della
sofistica minore. Non che non manifesti una retorica. Più che anti-sofista
Socrate si caratterizza come anti-erista. Mentre infatti la retorica
eristica della sofistica minore è indirizzata a convincere senza riferimento
alla veridicità del contenuto del discorso, la retorica socratica si
indirizza costantemente alla verità. Mentre l’eristica della sofistica
minore cerca di introdurre una retorica aleticamente neutra, Socrate
si incammina sulla strada di una retorica volta alla conoscenza (e alla
virtù). Il “verosimile” sofistico-eristico e il “vero” socratico caratterizzano
due mondi retorici diversi. L’APOLOGIA SWCRATOUS inizia con una tale affermazione di Socrate: “…Oti men umeiV, w
andreV Aqhnaioi,
peponqate upo twn emwn kathgorwn, ouk oida× egw doun kai autoV upautwn oligou emautou epelaqomhn, outw piqanwV elegon. kaitoi alhqeV ge wV epoV eipein ouden eirhkasin…” “…Che effetto
vi hanno fatto, o’Ateniesi, i discorsi dei miei accusatori, io non lo
so. Hanno discusso in maniera tanto convincente che per poco non mi
hanno fatto perdere la nozione di me stesso. Pure non hanno detto un
briciolo di verità…”
[2]
(APOL.17a). Socrate – come ci
dice Platone- sembra volere incatenare la retorica all’esistenza concreta.
La retorica socratica è un che di connesso alla vita. E’ un che di intimamente
morale. E’una “retorica dei fatti” che riesce a convincere non tanto
attraverso l’abilità narrativa, bensì con l’ergon
[3]
(ciò che è stato
fatto e ciò che continuerà a farsi). Socrate dice con coerenza: “…pisteuw gar dikaia
einai a legw...” “…Mi affido al
narrare cose virtuose…”
[4]
(APOL.17c) nel momento in cui
cerca di convincere il tribunale di avere avuto una vita virtuosa,
vale a dire eticamente corretta. E’ il “vero”, il fatto, ad essere unico
indizio di una vita virtuosa e unico strumento retorico. La retorica
socratica connette vita (virtuosa) e conoscenza a due livelli. Innanzitutto
ci riesce a livello del “metodo” retorico. L’avere avuto una vita virtuosa
è condizione della verità dell’affermazione di avere avuto una vita
virtuosa. Entrambe sono condizioni strumentali a assicurare un convincimento
retorico. Poi a livello conoscitivo. Per Socrate conosce realmente e
arriva alla verità solo colui che ha vissuto e vive una vita virtuosa.
La vita virtuosa è condizione alla verità. Entrambe sono condizioni
necessarie ad assicurare conoscenza. C’è una sottile distinzione tra
“verità del discorso” che chiameremo “verità dialettica” e “verità delle
cose” che chiameremo “verità conoscitiva”. L’una è una verità formale
che concerne la struttura del discorso umano. L’altra è una verità sostanziale
che concerne l’ “essenza” delle cose. Nell’un caso la vita virtuosa
si dimostra condizione della verità; nell’altro condizione alla
verità. Per Socrate è situazione del tutto naturale
riconoscere la c.d. varietà dei discorsi
[5]
. Il discorso umano è – secondo la sofistica- variabile
del contesto di formulazione del discorso medesimo. Mutando il contesto
varia il senso del discorso. C’è una forte differenza tra sofistica
eristica e Socrate. Per entrambi il senso di una enunciazione è variabile
del contesto. Ma esiste una diversa concezione delle relazioni tra contenuti
di verità di una enunciazione e forma della stessa. Mentre secondo l’eristica
il contenuto di verità di una enunciazione varia al variare della forma
dell’enunciazione medesima, nella sofistica iniziale e in Socrate il
contenuto di verità di una enunciazione rimane inalterato al mutare
della forma dell’enunciazione stessa. Nell’eristica è buon retore colui
che sottometta la verità ai discorsi modificando attraverso il discorso
i contenuti della verità. Per Socrate invece il buon retore è colui
che conformi il discorso alla verità utilizzando la verità come modello
del discorso. Nell’un caso (eristica) la varietà dei discorsi è indizio
di relativismo aletico; nell’altro caso la varietà dei discorsi è indizio
di mero relativismo semantico. Socrate
infatti àncora il contenuto della verità all’esistenza virtuosa concreta
di un individuo. La vita virtuosa è una sorta di “fideiussione” dei
contenuti della verità. Così inizia l’APOLOGIA SWCRATOUS. Con una affermazione
di anti-sofisticità. Che – come abbiamo visto- vuole dire interesse
verso la retorica intesa come strumento di verità, interesse verso la
conoscenza, riconoscimento della stretta connessione tra eticità e conoscenza,
accettazione circoscritta della teoria della c.d. varietà dei discorsi.
Socrate non solo è un individuo “strano”
[6]
. Ma è anche uno “straniero”
[7]
, cioè un individuo che si differenzia fortemente
da tutti coloro che hanno condiviso il medesimo momento storico. E come
“straniero” subisce una violenta condanna. Presa in considerazione
una breve contestualizzazione, iniziamo con lo sviscerare le tematiche
centrali dell’APOLOGIA SWCRATOUS. Esse sono in breve: l’indicazione delle
funzioni della filosofia; la definizione dell’educazione; la discussione
sul dubbio. Filosofia, educazione e dubbio. Cosa è la filosofia?
Statuto e funzioni. Prima di affrontare
come il Socrate di Platone consideri la filosofia è conveniente avviare
una breve introduzione. E’stato detto che e in che modo Socrate fosse
anti-sofista. Ora diciamo che ed in che modo Socrate sia sofista. Perché
tra Socrate e la Sofistica minore (eristica) viene ad esserci una linea
di discontinuità in relazione ai modi di intendere la retorica; ma d’altro
canto c’è una linea di continuità in relazione ai modi “umanistici”
di intendere la filosofia. Cosa è l’ “umanesimo” di Socrate e di tutti
i Sofisti? Per Socrate ed i Sofisti tutti centro della riflessione filosofica
è la vita (etica) dell’uomo. L’uomo e le azioni umane sono uno dei centri
vitali dell’etica sofistica e socratica. L’etica è centro dell’interesse
sofistico e socratico. Tale interesse verso l’uomo e le azioni umane
avvicina Socrate alla Sofistica e lo allontana irrimediabilmente dai
Pre-socratici. Mentre i Pre-socratici considerano la filosofia una ricerca
teoretica disinteressata sui fondamenti della natura e del cosmo
[8]
, i Sofisti e Socrate considerano la filosofia – come
vedremo- una missione esistenziale e una ricerca strumentale all’azione
umana. Nel V secolo a.c. la Grecia traduce il suo interesse filosofico
dal “cosmo” all’ “uomo”. Le accuse di Meleto (“attore” della condanna
a morte) si dimostrano filosoficamente infondate aldilà di tutte
le valutazioni sul diritto! Perché mettono in discussione l’intera avventura
esistenziale del filosofo ateniese dandone un’idea filosoficamente
scorretta: “…ti dh legonteV dieballon
oi diaballonteV;
wsper oun kathgorwn thn antwmosian dei anagnwnai autwn× SwkrathV adikei
kai periergazetai zhtwn ta te
upo ghV kai
ourania kai ton httw logon kreittw poiwn kai allouV tauta tauta didaskwn…” “…E i miei accusatori
in che termini mi hanno accusato?La loro accusa si deve leggere come
una dichiarazione giurata: “Socrate è colpevole e impiccione in quanto
esplora sia le cose sottoterra che le cose celesti e trasforma il ragionamento
debole in ragionamento forte e ad altri insegna queste stesse cose…”
[9]
(APOL.19.c). Per le accuse Socrate
sarebbe colui che si indirizzi verso “ta te upo ghV kai ourania”, cioè verso una
sorta di filosofia del cosmo e che cerchi di tradurre eristicamente
dall’httwn logoV al kreittwn logoV, cioè nel senso
introdotto da Platone
[10]
il discorso debole in discorso razionalmente forte.
Socrate sarebbe un Pre-socratico e un Sofista-erista. Sono in discussione
e l’“umanesimo” e la teoria della conoscenza socratici. Ma Meleto non
si limita a mettere in discussione la correttezza scientifica e, se
scienza ed esistenza sono nella riflessione socratica correlate, la
rettitudine morale del filosofo ateniese. C’è una seconda accusa. L’accusa
di ricerca “interessata”: “…Alla gar oute toutwn
ouden estin, oude gei tinoV akhkoate wV
egw paideuein epiceirw anqrwpouV kai
crhmata prattomai, oude touto alhqeV…” “…Ma le falsità
non sono finite: se avete sentito dire da qualcuno che faccio soldi
mettendomi ad educare la gente, neanche questo è vero…”
[11]
(APOL.19.e). La difesa ironica
di Socrate in relazione alla tematica della ricerca interessata/ disinteressata
ci aiuta a contestualizzarlo ulteriormente nei confronti dei Pre-socratici
e nei confronti della Sofistica tutta. Il fattore dell’interesse/disinteresse
della ricerca è un ottimo criterio di classificazione. Mentre i Pre-socratici
considerano la riflessione filosofica come una ricerca disinteressata
[12]
, la Sofistica tutta la considera una ricerca interessata
(e debitamente retribuita). Per Socrate (e Platone) cos’è la filosofia?
Per i Pre-socratici è una ricerca astratta (volta ad interessi cosmici
e naturali) e disinteressata. Per la Sofistica tutta è una ricerca concreta
(volta all’uomo e alle azioni umane) ed interessata. Per Socrate (e
Platone) è una ricerca concreta e disinteressata. Le accuse di Meleto
contribuiscono a rendere chiara la concezione socratica di filosofia.
Prima caratteristica del filosofare è l’essere una ricerca concreta
e disinteressata. Nell’APOLOGIA SWCRATOUS Platone ritorna
sull’idea di filosofia come ricerca disinteressata. E lo fa utilizzando
una ulteriore accusa formulata contro Socrate in tribunale. L’accusa
di mettere in discussione l’esistenza delle divinità tradizionali. A
tale accusa Socrate ribatte indirettamente nel momento in cui afferma: “…kai upo tauthV thV ascoliaV oute
ti twn thV polewV praxai
moi sxolh gegonen axion logou oute oikeiwn, allen penia muria
eimi dia thn tou qeou latreian…” “…Così indaffarato
(nel mettere in discussione le conoscenze dei concittadini), non
ho avuto tempo da dedicare a faccende pubbliche né private, per importanti
che siano, e insomma rendere questo servizio al dio mi ha gettato nella
più grande miseria…”
[13]
(APOL.23.c). La filosofia è un
servizio verso la divinità. La filosofia socratica – a detta di Platone-
è una missione volta a ricordare all’uomo l’“esistenzialità” della conoscenza,
dal momento che nella riflessione socratica esistenza e conoscenza si
connettono indissolubilmente. La considerazione della filosofia come
servizio alla divinità ritorna nel momento in cui Socrate viene ad affermare: “…peisomai de mallon
tw qew h umin, kai ewsper an empnew kai oioV te v, ou mh pauswmai filosofwn
kai umin parakeleuomenoV…” “…Preferisco obbedire
alla divinità che a voi, e finché avrò vita e forze non smetterò di
filosofare e di esortarvi…”
[14]
(APOL.29.d), dando alla locuzione
“servire il divino” un senso stretto di “obbedire alla divinità” e un
senso lato di “trovare una sistemazione consona all’interno dell’ordine
del mondo”. Servire la divinità vuole dire obbedire alla divinità. E
obbedire alla divinità vuole dire abbandonarsi alla divinità, trascurando
interessi materiali e terreni. Seconda caratteristica del filosofare
è l’essere una missione umana volta a ricordare come nella vita concreta
etica e conoscenza siano un tutt’uno. Prima di continuare
la nostra caratterizzazione dei modi di intendere la filosofia nel Platone
della APOLOGIA SWCRATOUS sembra necessario un excursus sulla nozione socratica
di “divinità”. Per Socrate – come riferisce Platone- in lui : “…moi qeion ti kai daimonion
gignetai…” “…C’è un lato
divino e un lato demoniaco…”
[15]
(APOL.31.d), e il lato “demoniaco”
non è meno interessante del lato divino. Platone cerca di caratterizzare
il daimwn (“demone”) socratico. Il daimwn socratico è una voce interna che
indica a chi l’ascolta cosa non deve fare. E’una sorta di deterrente
interiore dell’individuo lontano dal senso freudiano di morale sociale.
E’ un simbolo di moralità. E la moralità socratica è una accadimento
meramente individuale: “…emoi de toutestin
ek paidoV
arxamenon, fwnh tiV
gignomenh, h otan genhtai, aei apotrepei me touto o an mellw prattein, protrepei
de oupote…” “…Mi capita fin
da quando ero ragazzo, sotto forma di una specie di voce che, quando
si fa sentire, è sempre per distogliermi dal fare quel che sto per fare,
mai per incitarmi…”
[16]
(APOL.31.d); Platone riutilizza
il concetto simbolico socratico di daimwn come estrema difesa contro l’accusa a Socrate
di ateismo. E lo riutilizza non dandone una definizione univoca. “Demone”
è in certi casi a] sinonimo di coscienza individuale ed in certi altri
b] sinonimo di divinità di riferimento o ordinamento divino di riferimento.
E’ un fattore insieme immanente e trascendente. E’ fattore immanente
essendo riferimento interno coscienziale. E’ fattore trascendente essendo
riferimento divino. Non esiste una soluzione certa sul dilemma della
natura del daimwn socratico
[17]
. Nell’APOLOGIA SWCRATOUS vi è un terzo modo
di intendere il filosofare. Ed è uno schema che ci riconduce direttamente
a Platone. “Filosofare” è cercare di ottenere il bene comune della città.
Qui ci troviamo davanti ad un mixtum tra concezione socratica
ed idee di Platone. Perché se conoscere e vivere virtuosamente sono
considerate da Socrate come condizioni al bene individuale (vivere bene),
conoscere e vivere virtuosamente sono considerate da Platone come condizioni
a bene individuale e bene comune. Platone continua e chiarisce il discorso
socratico
[18]
. Non si limita – come Socrate- a mettere in chiaro
le condizioni del viver bene individuale, ma si rende conto di come
i viver bene individuali siano condizioni a ciò che si chiama bene comune.
In termini etici che le moralità individuali siano condizioni del bene
comune. Il cammino verso la filosofia secondo Platone è “scalare”. Primo
“scalino” (socratico) è l’accrescimento culturale individuale, dove
filosofia è intesa come una missione conoscitiva. Secondo scalino (socratico)
è l’accrescimento morale individuale, dove filosofia è intesa come missione
di moralizzazione individuale. Terzo ed ultimo “scalino” (Platone) è
l’accrescimento del bene comune, dove filosofia è intesa come missione
di moralizzazione sociale. La nozione di “filosofia” unisce il mondo
dell’individuale e il mondo del collettivo. E – come vedremo successivamente-
unisce moralità ed educazione. Ma vediamo il discorso
di Socrate. Socrate si riconnette alla seconda caratterizzazione della
nozione di filosofia e va oltre: “…tauta gar keleuei
o qeoV, eu
iste, kai egw oiomai ouden pw umin meizon agaqon genesqai en th polei
h thn emhn tw qew uphresian. ouden gar allo prattwn egw periercomai h peiqwn
umwn kai newterouV
kai presbuterouV mhte
swmatwn epimeleisqai mhte crhmatwn proteron mhde outw
sfodra wV thV yuchV opwV wV aristh
estai, legwn oti ¢Ouk
ek crhmatwn areth gignetai, allex arethV crhmata kai ta alla agaqa toiV anqrwpoiV apanta
kai idia kai dhmosia…” “…Non faccio che
obbedire ad un comando divino, sappiatelo: sono convinto, anzi, che
la missione che svolgo per il dio sia il bene massimo che vi è toccato
in questa città. Il mio girovagare ha la sola funzione di persuadervi,
giovani e vecchi, di non curarvi del corpo né delle ricchezze più o
altrettanto che della perfezione dell’anima, rammentandovi che non dalle
ricchezze viene la virtù, ma dalle virtù le ricchezze e tutto ciò che
fa bene all’uomo, sia nella sua sfera privata che in quella pubblica…”
[19]
(APOL.30.a-b) sostenendo che il
fatto che lui stesso si abbandoni alla divinità è un bene sia nei confronti
di ciascun cittadino che nei confronti della città tutta. E il fitto
intreccio tra le due dimensioni del ta idia e del ton dhmosion e l’intendere la filosofia una missione
di moralizzazione è sottolineato successivamente nell’affermazione: “…oti degw tugcanw
wn toioutoV
oioV upo
tou qeou th polei dedosqai, enqende an katanohsaite× ou gar anqrwpinw eoike to eme twn
men emautou pantwn hmelhkenai
kai anecesqai twn oikeiwn ameloumenwn
tosauta hdh eth, to de umeteron prattein aei, idia ekastw prosionta wsper patera h adelfon presbuteron peiqonta epimeleisqai arethV…” “…Che io possa
essere visto come un dono del dio alla città, potete dedurre anche dal
fatto –quasi sembra inumano- che ho trascurato tutti i miei interessi
e ormai da tanti anni lascio che vengano trascurati gli affari di casa
mia, mentre da sempre mi occupo dei vostri, avvicinandovi singolarmente
per indurvi, come un padre o un fratello maggiore, a coltivare la virtù…”
[20]
(APOL.31.b). Terza caratteristica
del filosofare è l’essere condizione utile ad ottenere il bene comune. Riassumendo. Prendiamo in considerazione
le caratteristiche della nozione di filosofia che affiorano dalla lettura
dell’APOLOGIA SWCRATOUS e cerchiamo di rendere
conto alla domanda iniziale “Cosa è filosofia?”. Per Platone filosofia
è: a] ricerca concreta
e disinteressata: filosofare vuole dire indirizzarsi verso lo studio
dell’uomo e delle azioni umane liberandosi totalmente da interessi materiali
e terreni. b] missione umana
volta alla conoscenza e alla virtù individuale: filosofare vuole dire
“servire la divinità” abbandonandosi ad essa come condizione utile ad
ottenere conoscenza e virtù individuale. c] condizione utile
ad ottenere il bene comune: filosofare vuole dire conciliare l’azione
di moralizzazione individuale all’azione di moralizzazione sociale come
condizione utile ad ottenere con il bene individuale il bene comune. “Filosofare” – secondo
Platone- vuole dire condurre a termine una “missione esistenziale di
ricerca concreta e disinteressata indirizzata ad ottenere sia la virtù
individuale (Socrate) sia il bene comune (Platone)”. Lo statuto della
filosofia è l’essere una “missione esistenziale di ricerca”. Due sono
le funzioni: ottenere la virtù individuale (moralizzazione individuale)
ed ottenere il bene comune (moralizzazione sociale). Educazione. Auto-educazione
ed educazione dell’altro. La seconda tematica
trattata all’interno dell’APOLOGIA SWCRATOUS consiste nella definizione
di “educazione”. La trattazione della tematica dell’educazione è molto
diffusa nel momento socratico della riflessione filosofica di Platone.
Coincide infatti con il discorso socratico sulla affinità tra conoscenza
e virtù. Conoscenza è esistenza morale. Educare alla conoscenza vuole
dire educare all’esistenza morale. E’ chiaro che se conoscenza e esistenza
morale sono condizioni ad una vita socraticamente sensata l’educazione
alla conoscenza e all’esistenza morale è unico strumento utile a condurre
l’uomo sulla strada della sensatezza esistenziale. Perciò l’educazione
è tematica così diffusa nella riflessione esordiente di Platone. Cosa si intende con
il termine “educazione”? Platone sin dall’inizio si mostra molto deciso.
Educare a conoscenza e esistenza morale è molto diverso dall’educare
alla tecnica (musica; arti; matematica; etc…). Perché – secondo Platone-
educare non è trasmettere tecniche o contenuti tecnici
[21]
. Ma educare è resuscitare esistenze morte ed aiutare
a nascere esistenze nasciture (maieutica). Prima di tutto “educazione”
è “maieutica”
[22]
. La definizione di educazione – come abbiamo
visto- si riconnette alle considerazioni sulla nozione di filosofia.
La filosofia è una “missione” volta a mettere in discussione le credenze
dell’uomo in funzione dell’accrescimento della sua virtù. Filosofia
è strumento di accrescimento conoscitivo e morale. E lo è in due direzioni.
E’ una missione volta ad accrescere conoscenza ed esistenza del filosofo.
Ed è una missione volta ad accrescere conoscenza ed esistenza nell’altro.
In altri termini filosofia è auto-educazione ed educazione dell’altro.
Filosofia è strumento di auto-educazione e di educazione. Deriviamo
tale assunto da un interessantissimo raffronto tra filosofia e tribunali
introdotto da Platone. Per Platone filosofia e diritto hanno funzioni
diverse. Mentre la filosofia ha la funzione di auto-educare e di educare,
il diritto si limita a sanzionare. Platone fa ribattere Socrate a Meleto
con estrema chiarezza: “…su de suggenesqai
men moi kai didaxai efugeV
kai ouk hqelhsaV, deuro
de eisageiV, oi nomoV estin
eisagein touV
kolasewV deomenouV allou
maqhsewV…” “…Ma tu mi trascini
qui (in tribunale), dopo aver decisamente evitato di stare con
me ad ammaestrarmi: qui dove la legge vuole che si conducano gli individui
che hanno necessità di punizione, non di educazione…”
[23]
(26.c). La filosofia è l’ambito dell’emendare o dell’intimidire
(educare). Il tribunale è l’ambito del sanzionare, vale a dire del retribuire.
“Educazione” non è “diritto”. “Educazione” è “filosofia”. Nella trattazione della tematica dell’educazione
– come nel discorso sulla nozione di filosofia- Platone combina l’ambito
dell’individuo con l’ambito del cittadino. Se l’interesse di Socrate
è interesse verso l’individuo, l’interesse di Platone è interesse verso
l’individuo ed il cittadino. Platone tende a “civilizzare” l’umanesimo
di Socrate. Per Socrate filosofia è intento analitico ed intento etico
individuali. Socrate desidera educare l’individuo (sé stesso o altro)
attraverso analitica ed etica. Platone invece intende educare l’uomo
ed il cittadino (sé stesso e altro) attraverso analitica ed etica. Per
Platone l’educazione dell’uomo è educazione dell’individuo e del cittadino.
Dove il bene dell’individuo è curarsi di sé senza curarsi delle cose
materiali e il bene del cittadino è il curarsi della città senza curarsi
delle cose materiali della città. Essere buon uomo nel senso di buon
individuo e buon cittadino vuole dire diventare ottimo curatore di se
stesso e della città. Socrate afferma: “…epiceirwn ekaston
umwn peiqein mh proteron mhte twn eautou mhdenoV epimeleisqai prin eautou epimelhqeih opwV wV beltistoV kai
fronimwtatoV esoito, mhte twn thV polewV, prin authV thV polewV, twn
te allwn outw kata ton auton tropon epimeleisqai -ti oun eimi axioV paqein
toioutoV wn;…” “…ho cercato di
convincere ciascuno di voi di non curarsi di alcuna delle proprie cose
prima che della propria persona, del modo di diventare il più possibile
buono o saggio, né delle cose della città più che della città stessa,
adottando questo stesso atteggiamento in qualsiasi frangente… Orsù,
dite, che pena mi merito per questa scelta di vita?…”
[24]
(APOL.36.c-d). Per ultima cosa “educare”
è “avere cura di se stessi (Socrate) e della città (Platone)”. Riassumendo. Cosa ribattere alla domanda
“Cosa è educazione?”? Per Platone
“educazione” è: a] maieutica: educare
vuole dire - con una frase ad effetto- resuscitare esistenze morte ed
aiutare a nascere esistenze nasciture, vale a dire indurre l’altro all’auto-educazione. b] filosofia: educare
vuole dire mettere in discussione credenze in funzione dell’accrescimento
dell’esistenza morale, evolvendo in tale modo il coefficiente esistenziale
(conoscitivo e morale; di sé ed altrui) dell’individuo. c] cura: educare
vuole dire avere cura di sé e della città, traducendo l’evoluzione del
coefficiente esistenziale dell’individuo in benessere comune. “Educare” –secondo
Platone- vuole dire indurre se stessi o l’altro ad accrescere il (di
sé o altrui) coefficiente esistenziale in funzione dell’incremento del
bene comune. “Educare” è l’esito fondamentale del “filosofare”. Fare
filosofia è strumento cardine dell’auto-educazione ed educazione dell’uomo. Dubbio come norma
d’azione concreta. L’ultima tematica
trattata nella APOLOGIA SWCRATOUS è la tematica della discussione socratica in relazione al
dubbio. L’affermazione socratica “conoscenza è conoscere di non conoscere”
derivata dall’oracolo delfico è il “motore” della teoria della conoscenza
di Socrate e di Platone. Ricordiamo uno dei brani fondamentali dell’APOLOGIA SWCRATOUS: “…Cairefwnta gar iste
pou... kai dh pote kai eiV
DelfouV elqwn
etolmhse touto manteusasqai -kai, oper legw, mh qorubeite, w andreV - hreto
gar dh ei tiV
emou eih sofwteroV. Aneilen
oun h Puqia mhdena sofwteron einai... tauta gar egw akousaV enequmoumhn outwsi× < Ti pote legei o qeoV, kai ti pote ainittetai;>
kai polun men cronon hporoun tipote legei× epeita
mogiV panu
epi zhthsin autou toiauthn tina etrapomhn. Hlqon epi tina twn dokountwn sofwn einai... diaskopwn oun touton... edoxe moi outoV o anhr
dokeinmen einai sofoV
alloiV te
polloiV anqrwpoiV kai
malista eautw, einai dou×
kapeita epeirwmhn autw deiknunai oti oioito men einai sofoV, eih
dou... proV emauton
doun apiwn
elogizomhn oti toutou men tou anqrwpou egw sofwteroV eimi× kinduneuei
men gar hmwn oudeteroV ouden
kalon kagaqon eidenai, alloutoV men oietai ti eidenai ouk eidwV, egw de, wsper oun ouk oida, oude oiomai× eoika
goun toutou ge smikrw tini autw toutw sofwteroV einai, oti a mh oida oude oiomai
eidenai...” “…Credo che abbiate
conosciuto Cherefonte… Cherefonte recatosi una volta a Delfi osò chiedere
all’oracolo – ve lo dico di nuovo, cittadini, non fate chiasso- se vi
fosse uno più sapiente di me. E la Pizia disse che non c’era nessuno…
Quando ho ricevuto un tale oracolo, mi è venuto naturalmente da riflettere:
< Che mai vorrà dire il dio?A che cosa alluderà? >… Ed essendo
stato incerto sul senso dell’oracolo anche se malvolentieri mi decisi
all’indagine di cui ora vi dirò. Andai da uno di coloro che hanno la
fama di conoscere…ed esaminandolo… mi sembrò che costui sembrasse conoscere
a se stesso e a molti altri ma non conoscesse realmente. Cercai di fargli
notare che si credeva sapiente senza esserlo… Nell’andare via mi resi
conto che ero più sapiente di quell’uomo: forse nessuno di noi due conosceva
cose belle e buone, ma almeno, mentre lui credeva di conoscere e in
realtà non conosceva, io non conoscevo ma neanche credevo di conoscere.
Mi sembrava di essere come minimo più sapiente di lui dal momento che
non conoscendo so di non conoscere…”
[25]
(APOL.21.d). Platone vuole comunicarci
due cose. Innanzitutto che la conoscenza è esistenza nel senso che conoscere
è costantemente mettersi in discussione e mettere in discussione tutte
le nostre credenze. Per Socrate conoscenza è conoscere che tutto nella
vita umana è in discussione. Poi – come abbiamo notato affrontando le
relazioni tra Pre-socratici e Socrate- che la conoscenza non è ricerca
dei fondamenti cosmici e naturali. Conoscenza è ricerca dubitante sull’esistenza
concreta dell’uomo. Il dubbio è il motore della ricerca umana. Socrate
viene a considerare il dubbio come stimolo: stimolo a cui accostarsi
e stimolo da assecondare
[26]
. E nell’esistenza umana concreta due sono i modi
di relazionarsi con la conoscenza. Nel momento in cui ci esistano soluzioni
razionali alle domande dell’uomo, dovere dell’uomo è mettere in discussione
tutto ciò che crede di conoscere. Conosco realmente se e solo se metto
in discussione ciò che ho i mezzi di conoscere. Conosco realmente ciò
che ricerco e che costantemente metto in discussione. Nel momento in
cui non esistano soluzioni razionali alle domande dell’uomo, dovere
dell’uomo è “non decidere”, con l’onere di continuare a mettersi in
discussione se nasca un indizio di razionalità. Ciò che non ho i mezzi
di conoscere, ammetto di non conoscerlo. Ecco che cosa sottende il “conoscere
di non conoscere” socratico. Il conoscere di non conoscere ci invita
a mettere in discussione costantemente ciò che conosciamo se conosciamo
e ad ammettere di non conoscere ciò che non conosciamo se non conosciamo.
La teoria della conoscenza
socratica si rende norma d’azione conoscitiva. Ci indirizza a come deve
vivere l’uomo nel momento in cui si relazioni con la conoscenza. Ci
indirizza alla virtù. E due sono le sotto-norme della norma d’esistenza:
a] devo mettere in discussione tutto ciò che credo di conoscere e b]
devo ammettere di non conoscere tutto ciò che non ho i mezzi di conoscere. E’ introdotta una
insormontabile divisione tra ciò che l’uomo ha i mezzi di conoscere
e ciò che l’uomo non ha i mezzi di conoscere. Per Socrate – secondo
Platone- ciò che l’uomo non ha i mezzi di conoscere è la realtà cosmica
e naturale (metafisica), mentre ciò che l’uomo ha i mezzi di conoscere
è la realtà esistenziale e morale (fisica-etica). Socrate è un autore
“anti-metafisico”. Nel caso della metafisica infatti il destino dell’uomo
è di non conoscere e il dovere dell’uomo è di rifiutare di decidere
ammettendo di non conoscere: “…Oide men gar oudeiV ton
qanaton oudei tugcanei tw anqrwpw pantwn megiston on twn agaqwn,
dediasi dwV eu
eidoteV oti
megiston twn kakwn esti. Kaitoi pwV
ouk amaqia estin auth h eponeidistoV, h
tou oiesqai eidenai a ouk oiden;…” “…Della morte
nessuno conosce con sicurezza neanche se sia il supremo bene toccato
all’uomo, e tuttavia vien temuta nella certezza che sia il supremo male.
E non è la più riprovevole forma di ignoranza, questo presumere di sapere
ciò che non si sa..?”
[27]
(APOL.29.b); nel caso della fisica-etica
invece il destino dell’uomo (virtuoso) è di conoscere e il dovere dell’uomo (virtuoso)
è di educarsi ed educare mettendosi e mettendo tutto in discussione: “…To de adikein kai apeiqein tw beltioni kai qew kai anqrwpw,
oti kakon kai aiscron
estin oida...” “…Ma che sia male
e cosa vergognosa commettere ingiustizia e disobbedire a un’autorità
superiore, dio o uomo che sia, questo lo so…”
[28]
(APOL.29.c). Riassumendo. Il dubbio è uno stimolo a conoscere.
E lo stimolo a conoscere si delinea secondo due modelli. E’ uno stimolo
a mettere in discussione ciò che credo di conoscere. Ed è uno stimolo
a riconoscere ciò che non conosco realmente. E il modello di stimolo
è variabile delle circostanze esistenziali. In determinati casi della
vita laddove si trovi ad avere a che fare con dilemmi metafisici l’uomo
assecondando lo stimolo a riconoscere ciò che non riesce a conoscere
deve limitarsi ad ammettere di non conoscere, in attesa di un eventuale
indizio futuro di razionalità. In determinati altri casi della vita
laddove si trovi ad avere a che fare con dilemmi fisico-etici l’uomo
assecondando lo stimolo a mettere in discussione ciò che crede di conoscere
deve mettersi in discussione e mettere in discussione tutte le sue credenze
consolidate. Lo stimolo a conoscere diviene così norma d’azione conoscitiva
utile ad ottenere la virtù individuale. Conclusioni. Le tre tematiche
si intersecano in maniera intensa. E si intersecano sul terreno comune
del “ricercare”. Per Socrate e Platone il destino dell’uomo è “ricercare”: “…Eantau legw
oti kai tugcanei megiston agaqon on anqrwpw touto, ekasthV hmeraV peri arethV touV logouV poieisqai
kai twn allwn peri wn umeiV emou akouete dialegomenou kai emauton kai allouV exetazontoV, o
de anexetastoV bioV ou
biwtoV anqrwpw...” “…Ancor meno mi
crederete se dico che il più grande bene dato all’uomo è proprio questa
possibilità di ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi
su cui mi avete sentito discutere o esaminare me stesso e altri: una
vita senza ricerca non è vita da essere umano…”
[29]
(APOL.38.a). E’ decisiva l’affermazione
socratica “…una vita senza ricerca non è vita da essere umano…”.
Il termine “ricerca” si nasconde in tutte e tre le nostre tematiche.
C’è nella definizione di filosofia. La filosofia è “missione esistenziale
di ricerca”. C’è nella discussione sull’educazione. Educare ed educarsi
è l’esito della ricerca. C’è nella riflessione sul dubbio. Il dubbio
è stimolo alla ricerca. Lo schema di intersecazione
è chiaro. Mentre il dubbio è strumento e stimolo alla ricerca, l’educazione
ne è l’esito. Mentre dubitare è stimolo e strumento della filosofia,
educare ne è l’esito. L’essere umano (virtuoso)
concretizza nella ricerca filosofica la tendenza a dubitare e nell’educazione
la ricerca filosofica. Dubitare è strumentale alla filosofia e la filosofia
è strumentale all’educazione. All’interno della missione esistenziale
dell’uomo si concatenano dubbio, filosofia ed educazione. Ed ecco la conclusione
socratica: una vita senza ricerca non è vita da esseri umani. Per Platone
vuole dire che una vita senza filosofia stimolata dal dubbio e finalizzata
all’educazione non è una vita meritevole di essere vissuta. Breve excursus.
Socrate e il tribunale. La filosofia del
diritto di Platone nell’APOLOGIA SWCRATOUS si muove su due strade. Prima di tutto
si indirizza a descrivere sommariamente il funzionamento e le funzioni
del tribunale. Poi – come abbiamo visto- cerca di abbozzare una coerente
teoria della sanzione. Per ciò che concerne
il funzionamento e le funzioni dei tribunali. Presiede il tribunale
il dikasthV. Costui non deve
essere “influenzato dai sentimenti”. Ma deve essere “convinto dai fatti”.
Socrate afferma: “…CwriV de
thV doxhV, w
andreV, oude
dikaion moi dokei einai deisqai tou dikastou oude deomenon apofeugein, alla didaskein
kai peiqein. Ou gar epi toutw
kaqhtai o dikasthV, epi
tw katacarizesqai ta dikaia, allepi tw krinein tauta×
kai omwmoken ou carieisqai oiV
an dokh autw, alla dikasein kata touV nomouV…” “…Ma a parte la
reputazione, cittadini, non mi sembra neanche giusto mettersi a supplicare
il giudice e grazie alle suppliche essere assolti: lo è, invece, istruire
e convincere. Il giudice non siede qui a fare grazioso dono della giustizia,
ma a giudicare in materia: e ha giurato di non concedere diritto secondo
arbitrio, ma di rendere giustizia secondo le leggi…”
[30]
(APOL.35.c). Cosa interessa di
una tale affermazione? Per Platone il dikasthV non deve katacarizesqai il diritto. Con il termine katacarizesqai si intendono due
cose: a] concedere diritto e b] sacrificare il diritto all’interesse
individuale. Ci sembra corretto indirizzarci verso la seconda modalità
d’uso del termine. Innanzitutto il dikasthV non deve sacrificare
il diritto all’interesse individuale. Ma deve limitarsi a valutare coscientemente.
Deve sentenziare (krinw) in maniera disinteressata. Poi non deve
concedere diritto secondo arbitrio, ma deve sentenziare in conformità
dell’ordinamento normativo (kata touV
nomouV). I tribunali sono
subordinati ai doveri di sentenziare disinteressatamente e di sentenziare
nei limiti dell’ordinamento. E’ una concezione molto moderna della iurisdictio. Per ciò che concerne le finalità della sanzione.
Il diritto – come abbiamo visto nella sezione “Educazione.Auto-educazione
ed educazione dell’altro”
[31]
- si limita a sanzionare. La filosofia è l’ambito
dell’intimidire e dell’emendare. Il diritto è l’ambito del dare il male
a chi ha commesso il male. Il diritto è l’ambito del retribuire. Ma
nell’APOLOGIA SWCRATOUS il riferimento ad
una teoria della sanzione è solamente abbozzato. La finalità della sanzione
sembra coincidere con la retribuzione morale. L’analisi del KRITWN ci condurrà a sostenere
che tale ultima affermazione non è del tutto credibile. E’ col KRITWN infatti che il Platone
del momento socratico attribuisce massima considerazione alle tematiche
della filosofia e teoria del diritto. BIBLIOGRAFIA MINIMA
ABBAGNANO, N. Filosofi e filosofie nella Storia, Torino,
Paravia, 1994, vol I. ADORNO, F. Introduzione
a Platone, Bari, Laterza, 1978. CARTESIO, Discorso
sul metodo, in G. Brianese, Il discorso sul metodo di Cartesio
e il problema del metodo nel XVII secolo, Torino, Paravia, 1988. LAMI, A. (a cura
di), I Presocratici: testimonianze
e frammenti da Talete ad Empedocle, Milano, BUR, 1991. PLATONE, APOLOGIA SWCRATOUS, Milano, Rizzoli,
1994. PLATONE, QEAITHTOS, Bari, Laterza, 1999. SEVERINO, E. La
filosofia antica, Milano, Rizzoli, 1984.
Note Al
Testo
[1]
Platone in tutti i suoi scritti “socratici” cerca di
caratterizzare il maestro usando in maniera abbondante il termine
“anti”. In altri termini Platone usa Socrate come “arma” contro avversari
e rivali filosofici. Nell’APOLOGIA
SWCRATOUS e nel LUSIS Socrate è un anti-sofista. Nello IWN è un anti-tradizionalista.
Nel CARMIDHS è un anti-senso comune. La mentalità critica di Socrate
è lo strumento che autorizza Platone a fare tabula rasa della
cultura ateniese, all’uso di fondare in maniera costruttiva un nuovo
modo di intendere la realtà. Dove Socrate è il destruens, Platone
si avanza come costruens.
[2]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, Milano, Rizzoli, 1994,
97. L’avverbio piqanwV (eristicamente convincente) risalta contro l’alhqeV socratico. Ecco i due mondi della retorica: retorica eristica e retorica
volta alla conoscenza.
[3]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 97, passim. Platone introduce in maniera latente attraverso
le affermazioni di Socrate un discorso sulla retorica. Per alcuni (sofistica minore)
il buon retore è colui che discute abilmente (wV
deinou ontoV legein).
Per Socrate il buon retore è colui che dice la verità (...umeiV de
mou akousesqe pasan thn alhqeian...). Ecco
di nuovo i due mondi della retorica.
[4]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 97.
[5]
Si veda il mio Protagora e la giustizia. Un tentativo
di ricostruzione, inedito, 2003. Il fatto che Socrate assuma l’intuizione
della c.d. “varietà dei discorsi” dall’esordiente sofistica è indizio
che esiste una stretta linea di continuità tra Socrate e sofistica
non eristica e una altrettanto stretta linea di discontinuità tra
Socrate e la sofistica-eristica.
[6]
Cfr. M.M. Sassi, Apologia e Critone: una vita filosofica,
una morte necessaria, in Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 22.
[7]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 99. Socrate stesso afferma: “Considerate che è questa la prima
volta, a settant’anni suonati, che compaio dinnanzi ad un tribunale:
per cui mi sento del tutto straniero (xenwV) al linguaggio di questo posto…” (APOL. 17.d). Si considerino nella medesima affermazione i due accenni
socratici all’essere “straniero” e all’esistenza della c.d. varietà
dei discorsi (teoria della contestualità delle forme discorsive).
[8]
E’ necessario innanzitutto introdurre una classificazione
storico-filosofica. Con il termine “Pre-socratici” si intendono: a]
Ionici: Talete; Anassimandro;
Anassimene; Eraclito b] Pitagora e Pitagorici c] Eleati: Senofane; Parmenide; Zenone; Melisso
d] “Fisici”: Empedocle; Anassagora; Democrito. Tre sono le tendenze comuni
a tutte le correnti e a tutti i Pre-socratici. L’interesse verso la
“natura” e verso l’“essere”; la tendenza a definire l’attività filosofica
come attività teoretica distaccata dal mito e dal senso comune; la tendenza a “ridurre” la totalità dell’essere-nel-mondo
all’identità.
[9]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Socrate continua affermando: “… ma con queste faccende, Ateniesi,
proprio non c’entro. Ne chiamo a testimoni la maggior parte di voi:
chiedendovi di informarvi e dirvi l’un l’altro, tutti voi (e siete
parecchi) che mi avete mai sentito discutere… ditevi, su, se mai qualcuno
mi ha sentito poco o tanto discutere di questi temi, e capirete che
hanno lo stesso valore pure le altre dicerie che girano sul mio conto…”(APOL.19.d).
[10]
Platone continua a considerare la sofistica come una
corrente unitaria. Per Platone Socrate è totalmente anti-sofistico.
Però – come ha sottolineato solo recentemente la critica moderna-
la sofistica ateniese si suddivide in due sotto-correnti: una sofistica
iniziale interessata a costruire una teoria della conoscenza (Protagora;
Gorgia) e una sofistica “eristica” interessata a costruire una teoria
del convincimento retorico (Sofisti minori). In entrambe le correnti
la tematica retorica è centrale. Ora – come abbiamo visto- la retorica
socratica continua la retorica della sofistica iniziale e contrasta
la retorica della sofistica minore. Quindi Socrate non è totalmente
anti-sofista. E’ una sorta di sofista anti-erista visti anche i sui
vitali interessi “umanistici”. Ma Platone non considera tale ricostruzione.
La sua tendenza è di usare Socrate come un’arma critica che nell’APOLOGIA SWCRATOUS si
vuole indirizzare contro uno dei simboli della cultura ateniese del
V secolo, vale a dire la Sofistica. Platone –e l’intera critica filosofica
fino alla seconda metà del ‘novecento- considerano il tentativo della
sofistica iniziale di tradurre dall’httwn
logoV al kreittwn logoV
come un tentativo di tradurre
eristicamente il discorso razionalmente debole in discorso razionalmente
forte, e non come un tentativo di tradurre il mondo del senso comune
in mondo della conoscenza effettiva ed universale. Ora è arrivato
il momento di riconoscere il valore conoscitivo della retorica della
Sofistica iniziale. E di riconciliare Socrate e sofistica.
[11]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Socrate continua dicendo ironicamente: “…E beato Eveno di
Paro – mi sono detto- se davvero possiede questa tecnica, e la insegna
a prezzo così conveniente. Anch’io mi farei bello e insuperbirei,
se avessi queste competenze: il fatto è che mi mancano, Ateniesi…”
(APOL.20.c).
[12]
Cfr. il frammento 12 [Aristot. Pol. A. 11 1259a 6] in
Alessandro Lami (a cura di), I
Presocratici: testimonianze e frammenti da Talete ad Empedocle,
Milano, BUR, 1991,124. Aristotele afferma su Talete: “…E’ questa in effetti una pensata affaristica: è vero che gliela attribuiscono
per la sua sapienza, ma è cosa che vale in generale. Siccome gli rinfacciavano
per via della sua povertà l’inutilità della filosofia, affermano che
avendo egli capito che vi sarebbe stata una gran produzione di olive
in base allo studio degli astri, quand’era ancora inverno provvistosi
di poche sostanze riuscì a dar caparre per i frantoi di Mileto e di
Chio, tutti quanti, affittandoli a poco visto che nessuno offriva
di più. Quando poi venne il momento, che erano in molti a ricercare
i frantoi tutti insieme e all’improvviso, dandoli in affitto al modo
che voleva lui, radunate molte sostanze giunse a mostrare che per
i filosofi è facile arricchire se lo vogliano, ma non è questo ciò
di cui si preoccupano…”. Si ricordi anche l’aneddoto della servetta
tracia ricordato nel Teeteto.
[13]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 113. Il termine chiave “latreia” utilizzato da
Platone vuole dire servizio. “Latreia qeou” è un servizio verso
la divinità.
[14]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 135. Obbedienza alla divinità e filosofare sono strettamente connessi.
[15]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 139.
[16]
Ibidem. In un ulteriore momento dell’APOLOGIA SWCRATOUS Platone fa dire a Socrate: “…Fino ad ora infatti l’usuale
avvertimento profetico, quello del segno divino, era stato sempre
assiduo, contrastando vigorosamente la mia volontà anche in questioni
di poco conto, se stavo per fare qualcosa di sbagliato. Ma ora mi
è capitato, come vedete anche voi, qualcosa che si potrebbe giudicare
(nell’opinione dei più lo è senz’altro) il peggior male possibile…
E tuttavia il segno del dio non si è opposto quando sono uscito stamane
da casa, né quando mi sono presentato qui in tribunale, né mai, qualsiasi
cosa stessi per dire, durante il mio discorso. Eppure in altre occasioni
mi aveva frenato anche più d’una volta nel bel mezzo di un discorso:
mentre ora, in questa faccenda, non mi ha contrastato da nessun punto
di vista, qualsiasi cosa dicessi o facessi. Come me lo spiego? Vi
dirò, può darsi che quanto mi è capitato si rivelerà un bene, e sicuramente
si sbagliano quanti di noi immaginano che morire sia un male. Ne ho
avuto una chiara indicazione: il solito segno non avrebbe mancato
di intervenire, se non stavo per fare qualcosa di buono…” (APOL.40.a-b-c). Cfr.
Platone, APOLOGIA
SWCRATOUS, cit., 165.
[17]
Platone sembra comunicare in maniera ricorrente la tendenza
a non voler decidere sulla natura dei fondamenti della sua filosofia.
Come non chiarisce e lascia indeterminato il dilemma sulla natura
del daimwn, così non mette luce sulla natura delle idee in relazione
alla teoria delle idee. Cos’è l’idea? E’una situazione trascendente
se si considera l’ideabilità come l’accomunante cosmico ovvero una
situazione immanente se si considera l’ideazione un mero metodo diairetico.
Mentre Aristotele si accoda alla seconda soluzione, Platone non ci
indica mai una soluzione conclusiva.
[18]
Cfr. N. Abbagnano, in Filosofi e filosofie nella Storia, Torino, Paravia, 1994, vol. I,
103: “…In terzo luogo, la virtù di cui parla Socrate tende a risolversi
nella politicità, poiché l’arte del saper vivere, essendo l’uomo un
essere sociale, si identifica e concretizza nell’arte di saper vivere
con gli altri. Ovviamente, una politica così intesa non è una tecnica
di dominio del prossimo, come la intendevano Gorgia e taluni Sofisti-politici,
bensì quel ragionare-insieme sulle cose della Città da cui deve scaturire
il bene comune (questo punto, già abbozzato in Protagora, sarà svolto
e approfondito da Platone)…”. Socrate si limita ad abbozzare il discorso
sul bene comune; Platone lo asseconda, lo continua e lo conduce a
termine.
[19]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 136-137.
[20]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 139. Socrate è dono divino alla vita di ciascun cittadino e dono
divino alla città. E’ fautore del bene individuale di ciascun
cittadino e del bene comune.
[21]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Si consideri di nuovo il riferimento ad Eveno di Paro. A differenza
della sofistica minore Socrate non domina tecniche retoriche. Perciò
non ha la facoltà di trasmettere tali tecniche retoriche ad altri.
[22]
Per una corretta definizione di “maieutica” si veda Platone,
QEAITHTOS, Bari, Laterza, 1999, 25. Socrate dice a Teeteto: “…Ora la mia arte di ostetrico
in tutto il rimanente è simile all’arte delle levatrici, ma ne differisce
nel fatto che opera sugli uomini e non sulle donne, e provvede alle
anime partorienti e non ai corpi. E la più grande capacità sua è che
io riesco, per essa, a discernere sicuramente se l’anima del giovane
partorisca menzogna o cosa vitale e reale… Io sono tutt’altro che
sapiente, né dalla mia anima è venuta fuori alcuna sapiente scoperta!
Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio
alcuni di essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando
a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro,
progrediscono meravigliosamente… Ed è chiaro che da me non hanno imparato
nulla, ma che essi, da sé, hanno trovato e costruito molte cose belle;
ma a me e al dio spetta il merito d’averli aiutati a costruire…”
(QEAIT.151.c-d).
[23]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 123. Platone utilizza nei confronti del convincimento educativo
e razionale il verbo manqanw e nei confronti della sanzione coercitiva e retributiva
il verbo kolazw. L’ambito del manqanw è totalmente
diverso dall’ambito del kolazw. La visione socratica sulla funzione della sanzione si
differenzia dalla visione della Sofistica iniziale. Come ho cercato
brevemente di mettere in luce nel mio Protagora e la giustizia.
Un tentativo di ricostruzione, cit., secondo la sofistica iniziale
funzione della sanzione è unicamente l’intimidazione mediante minaccia.
Per Socrate e Platone nell’APOLOGIA SWCRATOUS sembra essere la retribuzione.
[24]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 155.
[25]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 106-109.
[26]
Per Socrate il dubbio è una caratteristica dell’uomo
virtuoso. E’ uno stimolo conoscitivo. Due sono i modi ricorrenti nella
storia della filosofia di considerare il dubbio come il fondamento
di una corretta teoria della conoscenza. Per alcuni (Cartesio) il
dubbio è un metodo. Per altri (Peirce e James) è uno stato mentale.
Per Peirce il dubbio è uno stato mentale di insoddisfazione e di frustrazione
che l’uomo tende a trasformare in stato d’animo calmo e certo con
l’introduzione di nuove credenze. Per Cartesio è un metodo di controllo
su ciò che non è evidente. Si veda Cartesio, Discorso sul metodo,
in G. Brianese, Il discorso sul metodo di Cartesio e il problema
del metodo nel XVII secolo, Torino, Paravia, 1988, 67. Mentre
Cartesio indirizza l’uomo verso il dubbio individuale ed indica il
dubbio come fonte accessoria di conoscenza insieme all’intuizione;
Peirce indirizza l’uomo alla credenza ed indica come fonte unica di
conoscenza l’abbandono dell’irritazione scaturente dal dubbio. La
visione di Socrate è molto vicina alla visione cartesiana. Ma non
del tutto. Mentre in Cartesio il dubbio è fonte accessoria di conoscenza,
in Socrate è condizione unica e necessaria a conoscenza e virtù. E’l’unico
modo di conoscere realmente e di esistere virtuosamente.
[27]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 133. L’ambito della metafisica è considerato da Socrate come l’ambito
della non decisione. Dove l’uomo non ha i mezzi idonei a conoscere
– come nel caso della natura della morte- deve rifiutare di decidere
ammettendo di non conoscere.
[28]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 133-135. Gli ambiti della fisica e dell’etica sono considerati
da Socrate come ambiti della decisione razionale. Dove l’uomo ha i
mezzi idonei a conoscere – come nell’etica- deve decidere mettendo
in discussione costantemente ciò che ha deciso. Con Socrate nasce
il dilemma della conoscibilità delle valutazioni. Ed è risolto in
senso affermativo.
[29]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 159.
[30]
Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 151. |