APOLOGIA DI SOCRATE. Filosofia, educazione e dubbio. Breve introduzione. (Testo di Ivan Pozzoni)

 

Primo scritto “socratico” di Platone l’APOLOGIA SWCRATOUS sottointende due intenti. Innanzitutto ha l’intento di descrivere con toni di biasimo la condanna a morte di Socrate avvenuta ad Atene nel 399 a.c. Poi ha l’intento di tracciare i contorni del carattere filosofico di Socrate stesso.

Possiamo sostenere non a torto che l’APOLOGIA SWCRATOUS sia non uno scritto di Platone, ma uno scritto su Socrate. Perché Socrate è considerato da Platone un simbolo. E’ simbolo di colui che unisce vita e filosofia. E l’APOLOGIA SWCRATOUS è una sorta di narrazione simbolica. E’ un narrare di come vita concreta di un individuo e modo di fare filosofia si riescano ad unire. E’ la narrazione di come una “missione di educazione” vada a scaturire in maniera irrimediabile in una condanna a morte. L’APOLOGIA SWCRATOUS è una difesa nei confronti di Socrate davanti a due tribunali: il tribunale della storia ed il tribunale della filosofia. Le funzioni narrative dello scritto sono due e si intersecano continuamente. Celebrare l’innocenza di Socrate e caratterizzarne la dottrina. Descrizione della vita e caratterizzazione della conoscenza. Così come nella stessa filosofia socratica due sono i costituenti di una vita sensata: vivere (virtuosamente) e conoscere. Anche essi si intersecano con una certa continuità. Ecco come mai l’APOLOGIA SWCRATOUS è da considerarsi uno scritto su Socrate. Perché – come abbiamo visto- anche in relazione alla struttura lo scritto sembra ricalcare il nucleo filosofico della dottrina socratica.

La descrizione storica della condanna a morte è filosoficamente meno interessante della caratterizzazione dottrinale di Socrate. Uno dei due intenti ci interessa meno. Tuttavia è bene non tralasciarne l’analisi. Perché da un lato nella dottrina socratica – come abbiamo detto- vita e filosofia si intrecciano. E dall’altro la descrizione storica della condanna a morte di Socrate è anche descrizione storica del funzionamento di tribunali, e l’analisi del funzionamento dei tribunali ci conduce ad alcune riflessioni ius-filosofiche. Prendiamo in considerazione inizialmente la caratterizzazione socratica. Destiniamo ad un breve excursus la trattazione della condanna a morte e del funzionamento dei tribunali ellenici. Data un’idea del lavoro, entriamo nel vivo dell’introduzione.

     L’idea di Platone è innanzitutto di caratterizzare filosoficamente Socrate. E Socrate è caratterizzato in chiave anti-sofistica [1] . Che cosa si intende con Sofistica? La Sofistica è – come tutti sanno- una corrente culturale nata ad Atene nel V secolo a.c. sulle ali delle trionfanti vittorie della Grecia unita sui Persiani. Caratteristica fondamentale di tale corrente culturale è l’avere in se una radicata anima retorica. Anima retorica che – come non tutti sanno- tende storicamente a dividersi in due sotto-anime. C’è la retorica volta alla conoscenza della sofistica iniziale e la retorica “eristica” della sofistica minore. Affermare che Socrate sia anti-sofista vuole dire sostenere che Socrate sia contrario alla tradizione eristica della sofistica minore. Non che non manifesti una retorica. Più che anti-sofista Socrate si caratterizza come anti-erista. Mentre infatti la retorica eristica della sofistica minore è indirizzata a convincere senza riferimento alla veridicità del contenuto del discorso, la retorica socratica si indirizza costantemente alla verità. Mentre l’eristica della sofistica minore cerca di introdurre una retorica aleticamente neutra, Socrate si incammina sulla strada di una retorica volta alla conoscenza (e alla virtù). Il “verosimile” sofistico-eristico e il “vero” socratico caratterizzano due mondi retorici diversi. L’APOLOGIA SWCRATOUS inizia con una tale affermazione di Socrate:

 

“…Oti men umeiV, w andreV Aqhnaioi, peponqate upo twn emwn kathgorwn, ouk    oida× egw d’oun kai autoV up’autwn oligou emautou epelaqomhn, outw piqanwV   elegon. kaitoi alhqeV ge wV epoV eipein ouden eirhkasin…”

“…Che effetto vi hanno fatto, o’Ateniesi, i discorsi dei miei accusatori, io non lo so. Hanno discusso in maniera tanto convincente che per poco non mi hanno fatto perdere la nozione di me stesso. Pure non hanno detto un briciolo di verità…” [2] (APOL.17a).

 

Socrate – come ci dice Platone- sembra volere incatenare la retorica all’esistenza concreta. La retorica socratica è un che di connesso alla vita. E’ un che di intimamente morale. E’una “retorica dei fatti” che riesce a convincere non tanto attraverso l’abilità narrativa, bensì con l’ergon [3] (ciò che è stato fatto e ciò che continuerà a farsi). Socrate dice con coerenza:

 

“…pisteuw gar dikaia einai a legw...

“…Mi affido al narrare cose virtuose…” [4] (APOL.17c)

 

nel momento in cui cerca di convincere il tribunale di avere avuto una vita virtuosa, vale a dire eticamente corretta. E’ il “vero”, il fatto, ad essere unico indizio di una vita virtuosa e unico strumento retorico. La retorica socratica connette vita (virtuosa) e conoscenza a due livelli. Innanzitutto ci riesce a livello del “metodo” retorico. L’avere avuto una vita virtuosa è condizione della verità dell’affermazione di avere avuto una vita virtuosa. Entrambe sono condizioni strumentali a assicurare un convincimento retorico. Poi a livello conoscitivo. Per Socrate conosce realmente e arriva alla verità solo colui che ha vissuto e vive una vita virtuosa. La vita virtuosa è condizione alla verità. Entrambe sono condizioni necessarie ad assicurare conoscenza. C’è una sottile distinzione tra “verità del discorso” che chiameremo “verità dialettica” e “verità delle cose” che chiameremo “verità conoscitiva”. L’una è una verità formale che concerne la struttura del discorso umano. L’altra è una verità sostanziale che concerne l’ “essenza” delle cose. Nell’un caso la vita virtuosa si dimostra condizione della verità; nell’altro condizione alla verità.

     Per Socrate è situazione del tutto naturale riconoscere la c.d. varietà dei discorsi [5] . Il discorso umano è – secondo la sofistica- variabile del contesto di formulazione del discorso medesimo. Mutando il contesto varia il senso del discorso. C’è una forte differenza tra sofistica eristica e Socrate. Per entrambi il senso di una enunciazione è variabile del contesto. Ma esiste una diversa concezione delle relazioni tra contenuti di verità di una enunciazione e forma della stessa. Mentre secondo l’eristica il contenuto di verità di una enunciazione varia al variare della forma dell’enunciazione medesima, nella sofistica iniziale e in Socrate il contenuto di verità di una enunciazione rimane inalterato al mutare della forma dell’enunciazione stessa. Nell’eristica è buon retore colui che sottometta la verità ai discorsi modificando attraverso il discorso i contenuti della verità. Per Socrate invece il buon retore è colui che conformi il discorso alla verità utilizzando la verità come modello del discorso. Nell’un caso (eristica) la varietà dei discorsi è indizio di relativismo aletico; nell’altro caso la varietà dei discorsi è indizio di mero relativismo semantico.   Socrate infatti àncora il contenuto della verità all’esistenza virtuosa concreta di un individuo. La vita virtuosa è una sorta di “fideiussione” dei contenuti della verità.

Così inizia l’APOLOGIA SWCRATOUS. Con una affermazione di anti-sofisticità. Che – come abbiamo visto- vuole dire interesse verso la retorica intesa come strumento di verità, interesse verso la conoscenza, riconoscimento della stretta connessione tra eticità e conoscenza, accettazione circoscritta della teoria della c.d. varietà dei discorsi. Socrate non solo è un individuo “strano” [6] . Ma è anche uno “straniero” [7] , cioè un individuo che si differenzia fortemente da tutti coloro che hanno condiviso il medesimo momento storico. E come “straniero” subisce una violenta condanna.

Presa in considerazione una breve contestualizzazione, iniziamo con lo sviscerare le tematiche centrali dell’APOLOGIA SWCRATOUS. Esse sono in breve: l’indicazione delle funzioni della filosofia; la definizione dell’educazione; la discussione sul dubbio. Filosofia, educazione e dubbio.

 

Cosa è la filosofia? Statuto e funzioni.

Prima di affrontare come il Socrate di Platone consideri la filosofia è conveniente avviare una breve introduzione. E’stato detto che e in che modo Socrate fosse anti-sofista. Ora diciamo che ed in che modo Socrate sia sofista. Perché tra Socrate e la Sofistica minore (eristica) viene ad esserci una linea di discontinuità in relazione ai modi di intendere la retorica; ma d’altro canto c’è una linea di continuità in relazione ai modi “umanistici” di intendere la filosofia. Cosa è l’ “umanesimo” di Socrate e di tutti i Sofisti? Per Socrate ed i Sofisti tutti centro della riflessione filosofica è la vita (etica) dell’uomo. L’uomo e le azioni umane sono uno dei centri vitali dell’etica sofistica e socratica. L’etica è centro dell’interesse sofistico e socratico. Tale interesse verso l’uomo e le azioni umane avvicina Socrate alla Sofistica e lo allontana irrimediabilmente dai Pre-socratici. Mentre i Pre-socratici considerano la filosofia una ricerca teoretica disinteressata sui fondamenti della natura e del cosmo [8] , i Sofisti e Socrate considerano la filosofia – come vedremo- una missione esistenziale e una ricerca strumentale all’azione umana. Nel V secolo a.c. la Grecia traduce il suo interesse filosofico dal “cosmo” all’ “uomo”. Le accuse di Meleto (“attore” della condanna a morte) si dimostrano filosoficamente infondate aldilà di tutte le valutazioni sul diritto! Perché mettono in discussione l’intera avventura esistenziale del filosofo ateniese dandone un’idea filosoficamente scorretta:

 

“…ti dh legonteV dieballon oi diaballonteV; wsper oun kathgorwn thn                antwmosian dei anagnwnai autwn× SwkrathV adikei kai periergazetai zhtwn ta  te upo ghV kai ourania kai ton httw logon kreittw poiwn kai allouV tauta          tauta didaskwn…”

“…E i miei accusatori in che termini mi hanno accusato?La loro accusa si deve leggere come una dichiarazione giurata: “Socrate è colpevole e impiccione in quanto esplora sia le cose sottoterra che le cose celesti e trasforma il ragionamento debole in ragionamento forte e ad altri insegna queste stesse cose…” [9] (APOL.19.c).

 

Per le accuse Socrate sarebbe colui che si indirizzi verso “ta te upo ghV kai ourania”, cioè verso una sorta di filosofia del cosmo e che cerchi di tradurre eristicamente dall’httwn logoV al kreittwn logoV, cioè nel senso introdotto da Platone [10] il discorso debole in discorso razionalmente forte. Socrate sarebbe un Pre-socratico e un Sofista-erista. Sono in discussione e l’“umanesimo” e la teoria della conoscenza socratici. Ma Meleto non si limita a mettere in discussione la correttezza scientifica e, se scienza ed esistenza sono nella riflessione socratica correlate, la rettitudine morale del filosofo ateniese. C’è una seconda accusa. L’accusa di ricerca “interessata”:

 

“…Alla gar oute toutwn ouden estin, oude g’ei tinoV akhkoate wV egw paideuein

epiceirw anqrwpouV kai crhmata prattomai, oude touto alhqeV…”

“…Ma le falsità non sono finite: se avete sentito dire da qualcuno che faccio soldi mettendomi ad educare la gente, neanche questo è vero…” [11] (APOL.19.e).

 

La difesa ironica di Socrate in relazione alla tematica della ricerca interessata/ disinteressata ci aiuta a contestualizzarlo ulteriormente nei confronti dei Pre-socratici e nei confronti della Sofistica tutta. Il fattore dell’interesse/disinteresse della ricerca è un ottimo criterio di classificazione. Mentre i Pre-socratici considerano la riflessione filosofica come una ricerca disinteressata [12] , la Sofistica tutta la considera una ricerca interessata (e debitamente retribuita). Per Socrate (e Platone) cos’è la filosofia? Per i Pre-socratici è una ricerca astratta (volta ad interessi cosmici e naturali) e disinteressata. Per la Sofistica tutta è una ricerca concreta (volta all’uomo e alle azioni umane) ed interessata. Per Socrate (e Platone) è una ricerca concreta e disinteressata.

Le accuse di Meleto contribuiscono a rendere chiara la concezione socratica di filosofia. Prima caratteristica del filosofare è l’essere una ricerca concreta e disinteressata.

     Nell’APOLOGIA SWCRATOUS Platone ritorna sull’idea di filosofia come ricerca disinteressata. E lo fa utilizzando una ulteriore accusa formulata contro Socrate in tribunale. L’accusa di mettere in discussione l’esistenza delle divinità tradizionali. A tale accusa Socrate ribatte indirettamente nel momento in cui afferma:

 

“…kai upo tauthV thV ascoliaV oute ti twn thV polewV praxai moi sxolh gegonen axion logou oute oikeiwn, all’en penia muria eimi dia thn tou qeou latreian…”

“…Così indaffarato (nel mettere in discussione le conoscenze dei concittadini), non ho avuto tempo da dedicare a faccende pubbliche né private, per importanti che siano, e insomma rendere questo servizio al dio mi ha gettato nella più grande miseria…” [13] (APOL.23.c).

 

La filosofia è un servizio verso la divinità. La filosofia socratica – a detta di Platone- è una missione volta a ricordare all’uomo l’“esistenzialità” della conoscenza, dal momento che nella riflessione socratica esistenza e conoscenza si connettono indissolubilmente. La considerazione della filosofia come servizio alla divinità ritorna nel momento in cui Socrate viene ad affermare:

 

“…peisomai de mallon tw qew h umin, kai ewsper an empnew kai oioV te v, ou mh

pauswmai filosofwn kai umin parakeleuomenoV…”

“…Preferisco obbedire alla divinità che a voi, e finché avrò vita e forze non smetterò di filosofare e di esortarvi…” [14] (APOL.29.d),

 

dando alla locuzione “servire il divino” un senso stretto di “obbedire alla divinità” e un senso lato di “trovare una sistemazione consona all’interno dell’ordine del mondo”. Servire la divinità vuole dire obbedire alla divinità. E obbedire alla divinità vuole dire abbandonarsi alla divinità, trascurando interessi materiali e terreni. Seconda caratteristica del filosofare è l’essere una missione umana volta a ricordare come nella vita concreta etica e conoscenza siano un tutt’uno.

Prima di continuare la nostra caratterizzazione dei modi di intendere la filosofia nel Platone della APOLOGIA SWCRATOUS sembra necessario un excursus sulla nozione socratica di “divinità”. Per Socrate – come riferisce Platone- in lui :

 

“…moi qeion ti kai daimonion gignetai…”

“…C’è un lato divino e un lato demoniaco…” [15] (APOL.31.d),

 

e il lato “demoniaco” non è meno interessante del lato divino. Platone cerca di caratterizzare il daimwn (“demone”) socratico. Il daimwn socratico è una voce interna che indica a chi l’ascolta cosa non deve fare. E’una sorta di deterrente interiore dell’individuo lontano dal senso freudiano di morale sociale. E’ un simbolo di moralità. E la moralità socratica è una accadimento meramente individuale:

 

“…emoi de tout’estin ek paidoV arxamenon, fwnh tiV gignomenh, h otan genhtai,   aei apotrepei me touto o an mellw prattein, protrepei de oupote…”

“…Mi capita fin da quando ero ragazzo, sotto forma di una specie di voce che, quando si fa sentire, è sempre per distogliermi dal fare quel che sto per fare, mai per incitarmi…” [16] (APOL.31.d);

 

Platone riutilizza il concetto simbolico socratico di daimwn come estrema difesa contro l’accusa a Socrate di ateismo. E lo riutilizza non dandone una definizione univoca. “Demone” è in certi casi a] sinonimo di coscienza individuale ed in certi altri b] sinonimo di divinità di riferimento o ordinamento divino di riferimento. E’ un fattore insieme immanente e trascendente. E’ fattore immanente essendo riferimento interno coscienziale. E’ fattore trascendente essendo riferimento divino. Non esiste una soluzione certa sul dilemma della natura del daimwn socratico [17] .

     Nell’APOLOGIA SWCRATOUS vi è un terzo modo di intendere il filosofare. Ed è uno schema che ci riconduce direttamente a Platone. “Filosofare” è cercare di ottenere il bene comune della città. Qui ci troviamo davanti ad un mixtum tra concezione socratica ed idee di Platone. Perché se conoscere e vivere virtuosamente sono considerate da Socrate come condizioni al bene individuale (vivere bene), conoscere e vivere virtuosamente sono considerate da Platone come condizioni a bene individuale e bene comune. Platone continua e chiarisce il discorso socratico [18] . Non si limita – come Socrate- a mettere in chiaro le condizioni del viver bene individuale, ma si rende conto di come i viver bene individuali siano condizioni a ciò che si chiama bene comune. In termini etici che le moralità individuali siano condizioni del bene comune. Il cammino verso la filosofia secondo Platone è “scalare”. Primo “scalino” (socratico) è l’accrescimento culturale individuale, dove filosofia è intesa come una missione conoscitiva. Secondo scalino (socratico) è l’accrescimento morale individuale, dove filosofia è intesa come missione di moralizzazione individuale. Terzo ed ultimo “scalino” (Platone) è l’accrescimento del bene comune, dove filosofia è intesa come missione di moralizzazione sociale. La nozione di “filosofia” unisce il mondo dell’individuale e il mondo del collettivo. E – come vedremo successivamente- unisce moralità ed educazione.

Ma vediamo il discorso di Socrate. Socrate si riconnette alla seconda caratterizzazione della nozione di filosofia e va oltre:

 

“…tauta gar keleuei o qeoV, eu iste, kai egw oiomai ouden pw umin meizon agaqon genesqai en th polei h thn emhn tw qew uphresian. ouden gar allo prattwn egw

periercomai h peiqwn umwn kai newterouV kai presbuterouV mhte swmatwn          epimeleisqai mhte crhmatwn proteron mhde outw sfodra wV thV yuchV opwV wV aristh estai, legwn oti ¢Ouk ek crhmatwn areth gignetai, all’ex arethV               crhmata kai ta alla agaqa toiV anqrwpoiV apanta kai idia kai dhmosia…”

“…Non faccio che obbedire ad un comando divino, sappiatelo: sono convinto, anzi, che la missione che svolgo per il dio sia il bene massimo che vi è toccato in questa città. Il mio girovagare ha la sola funzione di persuadervi, giovani e vecchi, di non curarvi del corpo né delle ricchezze più o altrettanto che della perfezione dell’anima, rammentandovi che non dalle ricchezze viene la virtù, ma dalle virtù le ricchezze e tutto ciò che fa bene all’uomo, sia nella sua sfera privata che in quella pubblica…” [19] (APOL.30.a-b)

 

sostenendo che il fatto che lui stesso si abbandoni alla divinità è un bene sia nei confronti di ciascun cittadino che nei confronti della città tutta. E il fitto intreccio tra le due dimensioni del ta idia e del ton dhmosion e l’intendere la filosofia una missione di moralizzazione è sottolineato successivamente nell’affermazione:

 

“…oti d’egw tugcanw wn toioutoV oioV upo tou qeou th polei dedosqai, enqende   an  katanohsaite× ou gar anqrwpinw eoike to eme twn men emautou pantwn          hmelhkenai kai  anecesqai twn oikeiwn ameloumenwn tosauta hdh eth, to de       umeteron prattein aei, idia  ekastw prosionta wsper patera h adelfon               presbuteron peiqonta epimeleisqai arethV…”

“…Che io possa essere visto come un dono del dio alla città, potete dedurre anche dal fatto –quasi sembra inumano- che ho trascurato tutti i miei interessi e ormai da tanti anni lascio che vengano trascurati gli affari di casa mia, mentre da sempre mi occupo dei vostri, avvicinandovi singolarmente per indurvi, come un padre o un fratello maggiore, a coltivare la virtù…” [20] (APOL.31.b).

 

Terza caratteristica del filosofare è l’essere condizione utile ad ottenere il bene comune.

     Riassumendo. Prendiamo in considerazione le caratteristiche della nozione di filosofia che affiorano dalla lettura dell’APOLOGIA SWCRATOUS e cerchiamo di rendere conto alla domanda iniziale “Cosa è filosofia?”. Per Platone filosofia è:

a] ricerca concreta e disinteressata: filosofare vuole dire indirizzarsi verso lo studio dell’uomo e delle azioni umane liberandosi totalmente da interessi materiali e terreni.

b] missione umana volta alla conoscenza e alla virtù individuale: filosofare vuole dire “servire la divinità” abbandonandosi ad essa come condizione utile ad ottenere conoscenza e virtù individuale.

c] condizione utile ad ottenere il bene comune: filosofare vuole dire conciliare l’azione di moralizzazione individuale all’azione di moralizzazione sociale come condizione utile ad ottenere con il bene individuale il bene comune.

“Filosofare” – secondo Platone- vuole dire condurre a termine una “missione esistenziale di ricerca concreta e disinteressata indirizzata ad ottenere sia la virtù individuale (Socrate) sia il bene comune (Platone)”. Lo statuto della filosofia è l’essere una “missione esistenziale di ricerca”. Due sono le funzioni: ottenere la virtù individuale (moralizzazione individuale) ed ottenere il bene comune (moralizzazione sociale).

 

Educazione. Auto-educazione ed educazione dell’altro.

La seconda tematica trattata all’interno dell’APOLOGIA SWCRATOUS consiste nella definizione di “educazione”. La trattazione della tematica dell’educazione è molto diffusa nel momento socratico della riflessione filosofica di Platone. Coincide infatti con il discorso socratico sulla affinità tra conoscenza e virtù. Conoscenza è esistenza morale. Educare alla conoscenza vuole dire educare all’esistenza morale. E’ chiaro che se conoscenza e esistenza morale sono condizioni ad una vita socraticamente sensata l’educazione alla conoscenza e all’esistenza morale è unico strumento utile a condurre l’uomo sulla strada della sensatezza esistenziale. Perciò l’educazione è tematica così diffusa nella riflessione esordiente di Platone.

Cosa si intende con il termine “educazione”? Platone sin dall’inizio si mostra molto deciso. Educare a conoscenza e esistenza morale è molto diverso dall’educare alla tecnica (musica; arti; matematica; etc…). Perché – secondo Platone- educare non è trasmettere tecniche o contenuti tecnici [21] . Ma educare è resuscitare esistenze morte ed aiutare a nascere esistenze nasciture (maieutica). Prima di tutto “educazione” è “maieutica” [22] .

     La definizione di educazione – come abbiamo visto- si riconnette alle considerazioni sulla nozione di filosofia. La filosofia è una “missione” volta a mettere in discussione le credenze dell’uomo in funzione dell’accrescimento della sua virtù. Filosofia è strumento di accrescimento conoscitivo e morale. E lo è in due direzioni. E’ una missione volta ad accrescere conoscenza ed esistenza del filosofo. Ed è una missione volta ad accrescere conoscenza ed esistenza nell’altro. In altri termini filosofia è auto-educazione ed educazione dell’altro. Filosofia è strumento di auto-educazione e di educazione. Deriviamo tale assunto da un interessantissimo raffronto tra filosofia e tribunali introdotto da Platone. Per Platone filosofia e diritto hanno funzioni diverse. Mentre la filosofia ha la funzione di auto-educare e di educare, il diritto si limita a sanzionare. Platone fa ribattere Socrate a Meleto con estrema chiarezza:

 

“…su de suggenesqai men moi kai didaxai efugeV kai ouk hqelhsaV, deuro de         eisageiV, oi  nomoV estin eisagein touV kolasewV deomenouV all’ou maqhsewV…”

“…Ma tu mi trascini qui (in tribunale), dopo aver decisamente evitato di stare con me ad ammaestrarmi: qui dove la legge vuole che si conducano gli individui che hanno necessità di punizione, non di educazione…” [23] (26.c).

 

 La filosofia è l’ambito dell’emendare o dell’intimidire (educare). Il tribunale è l’ambito del sanzionare, vale a dire del retribuire. “Educazione” non è “diritto”. “Educazione” è “filosofia”.

     Nella trattazione della tematica dell’educazione – come nel discorso sulla nozione di filosofia- Platone combina l’ambito dell’individuo con l’ambito del cittadino. Se l’interesse di Socrate è interesse verso l’individuo, l’interesse di Platone è interesse verso l’individuo ed il cittadino. Platone tende a “civilizzare” l’umanesimo di Socrate. Per Socrate filosofia è intento analitico ed intento etico individuali. Socrate desidera educare l’individuo (sé stesso o altro) attraverso analitica ed etica. Platone invece intende educare l’uomo ed il cittadino (sé stesso e altro) attraverso analitica ed etica. Per Platone l’educazione dell’uomo è educazione dell’individuo e del cittadino. Dove il bene dell’individuo è curarsi di sé senza curarsi delle cose materiali e il bene del cittadino è il curarsi della città senza curarsi delle cose materiali della città. Essere buon uomo nel senso di buon individuo e buon cittadino vuole dire diventare ottimo curatore di se stesso e della città. Socrate afferma:

 

“…epiceirwn ekaston umwn peiqein mh proteron mhte twn eautou mhdenoV             epimeleisqai  prin eautou epimelhqeih opwV wV beltistoV kai fronimwtatoV         esoito, mhte twn thV polewV, prin authV thV polewV, twn te allwn outw kata ton auton tropon epimeleisqai -ti oun eimi axioV paqein toioutoV wn;…”

“…ho cercato di convincere ciascuno di voi di non curarsi di alcuna delle proprie cose prima che della propria persona, del modo di diventare il più possibile buono o saggio, né delle cose della città più che della città stessa, adottando questo stesso atteggiamento in qualsiasi frangente… Orsù, dite, che pena mi merito per questa scelta di vita?…” [24] (APOL.36.c-d).

 

Per ultima cosa “educare” è “avere cura di se stessi (Socrate) e della città (Platone)”.

     Riassumendo. Cosa ribattere alla domanda “Cosa è educazione?”?  Per Platone “educazione” è:

a] maieutica: educare vuole dire - con una frase ad effetto- resuscitare esistenze morte ed aiutare a nascere esistenze nasciture, vale a dire indurre l’altro all’auto-educazione.

b] filosofia: educare vuole dire mettere in discussione credenze in funzione dell’accrescimento dell’esistenza morale, evolvendo in tale modo il coefficiente esistenziale (conoscitivo e morale; di sé ed altrui) dell’individuo.

c] cura: educare vuole dire avere cura di sé e della città, traducendo l’evoluzione del coefficiente esistenziale dell’individuo in benessere comune.

“Educare” –secondo Platone- vuole dire indurre se stessi o l’altro ad accrescere il (di sé o altrui) coefficiente esistenziale in funzione dell’incremento del bene comune. “Educare” è l’esito fondamentale del “filosofare”. Fare filosofia è strumento cardine dell’auto-educazione ed educazione dell’uomo.

 

Dubbio come norma d’azione concreta.

L’ultima tematica trattata nella APOLOGIA SWCRATOUS è la tematica della discussione socratica in relazione al dubbio. L’affermazione socratica “conoscenza è conoscere di non conoscere” derivata dall’oracolo delfico è il “motore” della teoria della conoscenza di Socrate e di Platone. Ricordiamo uno dei brani fondamentali dell’APOLOGIA SWCRATOUS:

 

“…Cairefwnta gar iste pou... kai dh pote kai eiV DelfouV elqwn etolmhse touto manteusasqai -kai, oper legw, mh qorubeite, w andreV - hreto gar dh ei tiV emou eih sofwteroV. Aneilen oun h Puqia mhdena sofwteron einai... tauta gar egw      akousaV enequmoumhn outwsi× < Ti pote legei o qeoV, kai ti pote ainittetai;>… kai polun men cronon hporoun tipote legei× epeita mogiV panu epi zhthsin autou toiauthn tina etrapomhn. Hlqon epi        tina twn dokountwn sofwn einai...          diaskopwn oun touton... edoxe moi outoV o anhr dokeinmen einai sofoV alloiV te polloiV anqrwpoiV kai malista eautw, einai d’ou× kapeita       epeirwmhn autw   deiknunai oti oioito men einai sofoV, eih d’ou... proV emauton d’oun        apiwn      elogizomhn oti toutou men tou anqrwpou egw sofwteroV eimi× kinduneuei men gar  hmwn oudeteroV ouden kalon kagaqon eidenai, all’outoV men oietai ti eidenai      ouk eidwV, egw de, wsper oun ouk oida, oude oiomai× eoika goun toutou ge smikrw tini autw toutw sofwteroV einai, oti a mh oida oude oiomai eidenai...

“…Credo che abbiate conosciuto Cherefonte… Cherefonte recatosi una volta a Delfi osò chiedere all’oracolo – ve lo dico di nuovo, cittadini, non fate chiasso- se vi fosse uno più sapiente di me. E la Pizia disse che non c’era nessuno… Quando ho ricevuto un tale oracolo, mi è venuto naturalmente da riflettere: < Che mai vorrà dire il dio?A che cosa alluderà? >… Ed essendo stato incerto sul senso dell’oracolo anche se malvolentieri mi decisi all’indagine di cui ora vi dirò. Andai da uno di coloro che hanno la fama di conoscere…ed esaminandolo… mi sembrò che costui sembrasse conoscere a se stesso e a molti altri ma non conoscesse realmente. Cercai di fargli notare che si credeva sapiente senza esserlo… Nell’andare via mi resi conto che ero più sapiente di quell’uomo: forse nessuno di noi due conosceva cose belle e buone, ma almeno, mentre lui credeva di conoscere e in realtà non conosceva, io non conoscevo ma neanche credevo di conoscere. Mi sembrava di essere come minimo più sapiente di lui dal momento che non conoscendo so di non conoscere… [25] (APOL.21.d).

 

Platone vuole comunicarci due cose. Innanzitutto che la conoscenza è esistenza nel senso che conoscere è costantemente mettersi in discussione e mettere in discussione tutte le nostre credenze. Per Socrate conoscenza è conoscere che tutto nella vita umana è in discussione. Poi – come abbiamo notato affrontando le relazioni tra Pre-socratici e Socrate- che la conoscenza non è ricerca dei fondamenti cosmici e naturali. Conoscenza è ricerca dubitante sull’esistenza concreta dell’uomo. Il dubbio è il motore della ricerca umana. Socrate viene a considerare il dubbio come stimolo: stimolo a cui accostarsi e stimolo da assecondare [26] . E nell’esistenza umana concreta due sono i modi di relazionarsi con la conoscenza. Nel momento in cui ci esistano soluzioni razionali alle domande dell’uomo, dovere dell’uomo è mettere in discussione tutto ciò che crede di conoscere. Conosco realmente se e solo se metto in discussione ciò che ho i mezzi di conoscere. Conosco realmente ciò che ricerco e che costantemente metto in discussione. Nel momento in cui non esistano soluzioni razionali alle domande dell’uomo, dovere dell’uomo è “non decidere”, con l’onere di continuare a mettersi in discussione se nasca un indizio di razionalità. Ciò che non ho i mezzi di conoscere, ammetto di non conoscerlo. Ecco che cosa sottende il “conoscere di non conoscere” socratico. Il conoscere di non conoscere ci invita a mettere in discussione costantemente ciò che conosciamo se conosciamo e ad ammettere di non conoscere ciò che non conosciamo se non conosciamo.

La teoria della conoscenza socratica si rende norma d’azione conoscitiva. Ci indirizza a come deve vivere l’uomo nel momento in cui si relazioni con la conoscenza. Ci indirizza alla virtù. E due sono le sotto-norme della norma d’esistenza: a] devo mettere in discussione tutto ciò che credo di conoscere e b] devo ammettere di non conoscere tutto ciò che non ho i mezzi di conoscere.

E’ introdotta una insormontabile divisione tra ciò che l’uomo ha i mezzi di conoscere e ciò che l’uomo non ha i mezzi di conoscere. Per Socrate – secondo Platone- ciò che l’uomo non ha i mezzi di conoscere è la realtà cosmica e naturale (metafisica), mentre ciò che l’uomo ha i mezzi di conoscere è la realtà esistenziale e morale (fisica-etica). Socrate è un autore “anti-metafisico”. Nel caso della metafisica infatti il destino dell’uomo è di non conoscere e il dovere dell’uomo è di rifiutare di decidere ammettendo di non conoscere:

 

“…Oide men gar oudeiV ton qanaton oud’ei tugcanei tw anqrwpw pantwn megiston on twn agaqwn, dediasi d’wV eu eidoteV oti megiston twn kakwn esti. Kaitoi pwV  ouk amaqia        estin auth h eponeidistoV, h tou oiesqai eidenai a ouk oiden;…”

“…Della morte nessuno conosce con sicurezza neanche se sia il supremo bene toccato all’uomo, e tuttavia vien temuta nella certezza che sia il supremo male. E non è la più riprovevole forma di ignoranza, questo presumere di sapere ciò che non si sa..?” [27] (APOL.29.b);

 

nel caso della fisica-etica invece il destino dell’uomo (virtuoso) è di conoscere e il dovere

dell’uomo (virtuoso) è di educarsi ed educare mettendosi e mettendo tutto in discussione:

 

“…To de adikein  kai apeiqein tw beltioni kai qew kai anqrwpw, oti kakon kai    aiscron estin oida...

“…Ma che sia male e cosa vergognosa commettere ingiustizia e disobbedire a un’autorità superiore, dio o uomo che sia, questo lo so…” [28] (APOL.29.c).

 

     Riassumendo. Il dubbio è uno stimolo a conoscere. E lo stimolo a conoscere si delinea secondo due modelli. E’ uno stimolo a mettere in discussione ciò che credo di conoscere. Ed è uno stimolo a riconoscere ciò che non conosco realmente. E il modello di stimolo è variabile delle circostanze esistenziali. In determinati casi della vita laddove si trovi ad avere a che fare con dilemmi metafisici l’uomo assecondando lo stimolo a riconoscere ciò che non riesce a conoscere deve limitarsi ad ammettere di non conoscere, in attesa di un eventuale indizio futuro di razionalità. In determinati altri casi della vita laddove si trovi ad avere a che fare con dilemmi fisico-etici l’uomo assecondando lo stimolo a mettere in discussione ciò che crede di conoscere deve mettersi in discussione e mettere in discussione tutte le sue credenze consolidate. Lo stimolo a conoscere diviene così norma d’azione conoscitiva utile ad ottenere la virtù individuale.

 

Conclusioni.

Le tre tematiche si intersecano in maniera intensa. E si intersecano sul terreno comune del “ricercare”. Per Socrate e Platone il destino dell’uomo è “ricercare”:

 

“…Eant’au legw oti kai tugcanei megiston agaqon on anqrwpw touto, ekasthV   hmeraV    peri arethV touV logouV poieisqai kai twn allwn peri wn umeiV emou     akouete dialegomenou kai emauton kai allouV exetazontoV, o de anexetastoV      bioV ou biwtoV anqrwpw...

“…Ancor meno mi crederete se dico che il più grande bene dato all’uomo è proprio questa possibilità di ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi su cui mi avete sentito discutere o esaminare me stesso e altri: una vita senza ricerca non è vita da essere umano…” [29] (APOL.38.a).

E’ decisiva l’affermazione socratica “…una vita senza ricerca non è vita da essere umano…”. Il termine “ricerca” si nasconde in tutte e tre le nostre tematiche. C’è nella definizione di filosofia. La filosofia è “missione esistenziale di ricerca”. C’è nella discussione sull’educazione. Educare ed educarsi è l’esito della ricerca. C’è nella riflessione sul dubbio. Il dubbio è stimolo alla ricerca.

Lo schema di intersecazione è chiaro. Mentre il dubbio è strumento e stimolo alla ricerca, l’educazione ne è l’esito. Mentre dubitare è stimolo e strumento della filosofia, educare ne è l’esito.

L’essere umano (virtuoso) concretizza nella ricerca filosofica la tendenza a dubitare e nell’educazione la ricerca filosofica. Dubitare è strumentale alla filosofia e la filosofia è strumentale all’educazione. All’interno della missione esistenziale dell’uomo si concatenano dubbio, filosofia ed educazione.

Ed ecco la conclusione socratica: una vita senza ricerca non è vita da esseri umani. Per Platone vuole dire che una vita senza filosofia stimolata dal dubbio e finalizzata all’educazione non è una vita meritevole di essere vissuta.

 

Breve excursus. Socrate e il tribunale.

La filosofia del diritto di Platone nell’APOLOGIA SWCRATOUS si muove su due strade. Prima di tutto si indirizza a descrivere sommariamente il funzionamento e le funzioni del tribunale. Poi – come abbiamo visto- cerca di abbozzare una coerente teoria della sanzione.

Per ciò che concerne il funzionamento e le funzioni dei tribunali. Presiede il tribunale il dikasthV. Costui non deve essere “influenzato dai sentimenti”. Ma deve essere “convinto dai fatti”. Socrate afferma:

 

“…CwriV de thV doxhV, w andreV, oude dikaion moi dokei einai deisqai tou              dikastou oude deomenon apofeugein, alla didaskein kai peiqein. Ou gar epi          toutw kaqhtai o dikasthV,  epi tw katacarizesqai ta dikaia, all’epi tw krinein tauta× kai omwmoken ou carieisqai oiV an dokh autw, alla dikasein kata touV  nomouV…”

…Ma a parte la reputazione, cittadini, non mi sembra neanche giusto mettersi a supplicare il giudice e grazie alle suppliche essere assolti: lo è, invece, istruire e convincere. Il giudice non siede qui a fare grazioso dono della giustizia, ma a giudicare in materia: e ha giurato di non concedere diritto secondo arbitrio, ma di rendere giustizia secondo le leggi… [30] (APOL.35.c).

 

Cosa interessa di una tale affermazione? Per Platone il dikasthV non deve katacarizesqai il diritto. Con il termine katacarizesqai si intendono due cose: a] concedere diritto e b] sacrificare il diritto all’interesse individuale. Ci sembra corretto indirizzarci verso la seconda modalità d’uso del termine. Innanzitutto il dikasthV non deve sacrificare il diritto all’interesse individuale. Ma deve limitarsi a valutare coscientemente. Deve sentenziare (krinw) in maniera disinteressata. Poi non deve concedere diritto secondo arbitrio, ma deve sentenziare in conformità dell’ordinamento normativo (kata touV nomouV). I tribunali sono subordinati ai doveri di sentenziare disinteressatamente e di sentenziare nei limiti dell’ordinamento. E’ una concezione molto moderna della iurisdictio.

     Per ciò che concerne le finalità della sanzione. Il diritto – come abbiamo visto nella sezione “Educazione.Auto-educazione ed educazione dell’altro” [31] - si limita a sanzionare. La filosofia è l’ambito dell’intimidire e dell’emendare. Il diritto è l’ambito del dare il male a chi ha commesso il male. Il diritto è l’ambito del retribuire. Ma nell’APOLOGIA SWCRATOUS il riferimento ad una teoria della sanzione è solamente abbozzato. La finalità della sanzione sembra coincidere con la retribuzione morale. L’analisi del KRITWN ci condurrà a sostenere che tale ultima affermazione non è del tutto credibile. E’ col KRITWN infatti che il Platone del momento socratico attribuisce massima considerazione alle tematiche della filosofia e teoria del diritto.

 

BIBLIOGRAFIA MINIMA

ABBAGNANO, N. Filosofi e filosofie nella Storia, Torino, Paravia, 1994, vol I.

ADORNO, F. Introduzione a Platone, Bari, Laterza, 1978.

CARTESIO, Discorso sul metodo, in G. Brianese, Il discorso sul metodo di Cartesio e il problema del metodo nel XVII secolo, Torino, Paravia, 1988.

LAMI, A. (a cura di), I Presocratici: testimonianze e frammenti da Talete ad Empedocle, Milano, BUR, 1991.

PLATONE, APOLOGIA SWCRATOUS, Milano, Rizzoli, 1994.

PLATONE, QEAITHTOS, Bari, Laterza, 1999.

SEVERINO, E. La filosofia antica, Milano, Rizzoli, 1984.

 

 

 

 

 

 

 

Note Al Testo

[1] Platone in tutti i suoi scritti “socratici” cerca di caratterizzare il maestro usando in maniera abbondante il termine “anti”. In altri termini Platone usa Socrate come “arma” contro avversari e rivali filosofici. Nell’APOLOGIA SWCRATOUS e nel LUSIS Socrate è un anti-sofista. Nello IWN è un anti-tradizionalista. Nel CARMIDHS è un anti-senso comune. La mentalità critica di Socrate è lo strumento che autorizza Platone a fare tabula rasa della cultura ateniese, all’uso di fondare in maniera costruttiva un nuovo modo di intendere la realtà. Dove Socrate è il destruens, Platone si avanza come costruens.

[2] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, Milano, Rizzoli, 1994, 97. L’avverbio piqanwV (eristicamente convincente) risalta contro l’alhqeV socratico. Ecco i due mondi della retorica: retorica eristica e retorica volta alla conoscenza.

[3] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 97, passim. Platone introduce in maniera latente attraverso le affermazioni di Socrate un discorso  sulla retorica. Per alcuni (sofistica minore) il buon retore è colui che discute abilmente (wV deinou ontoV legein). Per Socrate il buon retore è colui che dice la verità (...umeiV de mou akousesqe pasan thn alhqeian...). Ecco di nuovo i due mondi della retorica.

[4] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 97.

[5] Si veda il mio Protagora e la giustizia. Un tentativo di ricostruzione, inedito, 2003. Il fatto che Socrate assuma l’intuizione della c.d. “varietà dei discorsi” dall’esordiente sofistica è indizio che esiste una stretta linea di continuità tra Socrate e sofistica non eristica e una altrettanto stretta linea di discontinuità tra Socrate e la sofistica-eristica.

[6] Cfr. M.M. Sassi, Apologia e Critone: una vita filosofica, una morte necessaria, in Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 22.

[7] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 99. Socrate stesso afferma: “Considerate che è questa la prima volta, a settant’anni suonati, che compaio dinnanzi ad un tribunale: per cui mi sento del tutto straniero (xenwV) al linguaggio di questo posto…” (APOL. 17.d). Si considerino nella medesima affermazione i due accenni socratici all’essere “straniero” e all’esistenza della c.d. varietà dei discorsi (teoria della contestualità delle forme discorsive).

[8] E’ necessario innanzitutto introdurre una classificazione storico-filosofica. Con il termine “Pre-socratici” si intendono: a] Ionici: Talete; Anassimandro; Anassimene; Eraclito  b] Pitagora e Pitagorici c] Eleati: Senofane; Parmenide; Zenone; Melisso  d] “Fisici”: Empedocle; Anassagora; Democrito. Tre sono le tendenze comuni a tutte le correnti e a tutti i Pre-socratici. L’interesse verso la “natura” e verso l’“essere”; la tendenza a definire l’attività filosofica come attività teoretica distaccata dal mito e dal senso comune;  la tendenza a “ridurre” la totalità dell’essere-nel-mondo all’identità.

[9] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Socrate continua affermando: “… ma con queste faccende, Ateniesi, proprio non c’entro. Ne chiamo a testimoni la maggior parte di voi: chiedendovi di informarvi e dirvi l’un l’altro, tutti voi (e siete parecchi) che mi avete mai sentito discutere… ditevi, su, se mai qualcuno mi ha sentito poco o tanto discutere di questi temi, e capirete che hanno lo stesso valore pure le altre dicerie che girano sul mio conto…”(APOL.19.d).

[10] Platone continua a considerare la sofistica come una corrente unitaria. Per Platone Socrate è totalmente anti-sofistico. Però – come ha sottolineato solo recentemente la critica moderna- la sofistica ateniese si suddivide in due sotto-correnti: una sofistica iniziale interessata a costruire una teoria della conoscenza (Protagora; Gorgia) e una sofistica “eristica” interessata a costruire una teoria del convincimento retorico (Sofisti minori). In entrambe le correnti la tematica retorica è centrale. Ora – come abbiamo visto- la retorica socratica continua la retorica della sofistica iniziale e contrasta la retorica della sofistica minore. Quindi Socrate non è totalmente anti-sofista. E’ una sorta di sofista anti-erista visti anche i sui vitali interessi “umanistici”. Ma Platone non considera tale ricostruzione. La sua tendenza è di usare Socrate come un’arma critica che nell’APOLOGIA SWCRATOUS si vuole indirizzare contro uno dei simboli della cultura ateniese del V secolo, vale a dire la Sofistica. Platone –e l’intera critica filosofica fino alla seconda metà del ‘novecento- considerano il tentativo della sofistica iniziale di tradurre dall’httwn logoV al kreittwn logoV come un tentativo di tradurre eristicamente il discorso razionalmente debole in discorso razionalmente forte, e non come un tentativo di tradurre il mondo del senso comune in mondo della conoscenza effettiva ed universale. Ora è arrivato il momento di riconoscere il valore conoscitivo della retorica della Sofistica iniziale. E di riconciliare Socrate e sofistica.

[11] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Socrate continua dicendo ironicamente: “…E beato Eveno di Paro – mi sono detto- se davvero possiede questa tecnica, e la insegna a prezzo così conveniente. Anch’io mi farei bello e insuperbirei, se avessi queste competenze: il fatto è che mi mancano, Ateniesi…” (APOL.20.c).

[12] Cfr. il frammento 12 [Aristot. Pol. A. 11 1259a 6] in Alessandro Lami (a cura di), I Presocratici: testimonianze e frammenti da Talete ad Empedocle, Milano, BUR, 1991,124. Aristotele afferma su Talete: “…E’ questa in effetti una pensata affaristica: è vero che gliela attribuiscono per la sua sapienza, ma è cosa che vale in generale. Siccome gli rinfacciavano per via della sua povertà l’inutilità della filosofia, affermano che avendo egli capito che vi sarebbe stata una gran produzione di olive in base allo studio degli astri, quand’era ancora inverno provvistosi di poche sostanze riuscì a dar caparre per i frantoi di Mileto e di Chio, tutti quanti, affittandoli a poco visto che nessuno offriva di più. Quando poi venne il momento, che erano in molti a ricercare i frantoi tutti insieme e all’improvviso, dandoli in affitto al modo che voleva lui, radunate molte sostanze giunse a mostrare che per i filosofi è facile arricchire se lo vogliano, ma non è questo ciò di cui si preoccupano…”. Si ricordi anche l’aneddoto della servetta tracia ricordato nel Teeteto.

[13] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 113. Il termine chiave “latreia” utilizzato da Platone vuole dire servizio. “Latreia qeou” è un servizio verso la divinità.

[14] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 135. Obbedienza alla divinità e filosofare sono strettamente connessi.

[15] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 139.

[16] Ibidem. In un ulteriore momento dell’APOLOGIA SWCRATOUS Platone fa dire a Socrate: “…Fino ad ora infatti l’usuale avvertimento profetico, quello del segno divino, era stato sempre assiduo, contrastando vigorosamente la mia volontà anche in questioni di poco conto, se stavo per fare qualcosa di sbagliato. Ma ora mi è capitato, come vedete anche voi, qualcosa che si potrebbe giudicare (nell’opinione dei più lo è senz’altro) il peggior male possibile… E tuttavia il segno del dio non si è opposto quando sono uscito stamane da casa, né quando mi sono presentato qui in tribunale, né mai, qualsiasi cosa stessi per dire, durante il mio discorso. Eppure in altre occasioni mi aveva frenato anche più d’una volta nel bel mezzo di un discorso: mentre ora, in questa faccenda, non mi ha contrastato da nessun punto di vista, qualsiasi cosa dicessi o facessi. Come me lo spiego? Vi dirò, può darsi che quanto mi è capitato si rivelerà un bene, e sicuramente si sbagliano quanti di noi immaginano che morire sia un male. Ne ho avuto una chiara indicazione: il solito segno non avrebbe mancato di intervenire, se non stavo per fare qualcosa di buono…” (APOL.40.a-b-c). Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 165.

[17] Platone sembra comunicare in maniera ricorrente la tendenza a non voler decidere sulla natura dei fondamenti della sua filosofia. Come non chiarisce e lascia indeterminato il dilemma sulla natura del daimwn, così non mette luce sulla natura delle idee in relazione alla teoria delle idee. Cos’è l’idea? E’una situazione trascendente se si considera l’ideabilità come l’accomunante cosmico ovvero una situazione immanente se si considera l’ideazione un mero metodo diairetico. Mentre Aristotele si accoda alla seconda soluzione, Platone non ci indica mai una soluzione conclusiva.

[18] Cfr. N. Abbagnano, in Filosofi e filosofie nella Storia, Torino, Paravia, 1994, vol. I, 103: “…In terzo luogo, la virtù di cui parla Socrate tende a risolversi nella politicità, poiché l’arte del saper vivere, essendo l’uomo un essere sociale, si identifica e concretizza nell’arte di saper vivere con gli altri. Ovviamente, una politica così intesa non è una tecnica di dominio del prossimo, come la intendevano Gorgia e taluni Sofisti-politici, bensì quel ragionare-insieme sulle cose della Città da cui deve scaturire il bene comune (questo punto, già abbozzato in Protagora, sarà svolto e approfondito da Platone)…”. Socrate si limita ad abbozzare il discorso sul bene comune; Platone lo asseconda, lo continua e lo conduce a termine.

[19] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 136-137.

[20] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 139. Socrate è dono divino alla vita di ciascun cittadino e dono divino alla città. E’ fautore del bene individuale di ciascun cittadino e del bene comune.

[21] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 103. Si consideri di nuovo il riferimento ad Eveno di Paro. A differenza della sofistica minore Socrate non domina tecniche retoriche. Perciò non ha la facoltà di trasmettere tali tecniche retoriche ad altri.

[22] Per una corretta definizione di “maieutica” si veda Platone, QEAITHTOS, Bari, Laterza, 1999, 25. Socrate dice a Teeteto: “…Ora la mia arte di ostetrico in tutto il rimanente è simile all’arte delle levatrici, ma ne differisce nel fatto che opera sugli uomini e non sulle donne, e provvede alle anime partorienti e non ai corpi. E la più grande capacità sua è che io riesco, per essa, a discernere sicuramente se l’anima del giovane partorisca menzogna o cosa vitale e reale… Io sono tutt’altro che sapiente, né dalla mia anima è venuta fuori alcuna sapiente scoperta! Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni di essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, progrediscono meravigliosamente… Ed è chiaro che da me non hanno imparato nulla, ma che essi, da sé, hanno trovato e costruito molte cose belle; ma a me e al dio spetta il merito d’averli aiutati a costruire…” (QEAIT.151.c-d).

[23] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 123. Platone utilizza nei confronti del convincimento educativo e razionale il verbo manqanw e nei confronti della sanzione coercitiva e retributiva il verbo kolazw. L’ambito del manqanw è totalmente diverso dall’ambito del kolazw. La visione socratica sulla funzione della sanzione si differenzia dalla visione della Sofistica iniziale. Come ho cercato brevemente di mettere in luce nel mio Protagora e la giustizia. Un tentativo di ricostruzione, cit., secondo la sofistica iniziale funzione della sanzione è unicamente l’intimidazione mediante minaccia. Per Socrate e Platone nell’APOLOGIA SWCRATOUS sembra essere la retribuzione.

[24] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 155.

[25] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 106-109.

[26] Per Socrate il dubbio è una caratteristica dell’uomo virtuoso. E’ uno stimolo conoscitivo. Due sono i modi ricorrenti nella storia della filosofia di considerare il dubbio come il fondamento di una corretta teoria della conoscenza. Per alcuni (Cartesio) il dubbio è un metodo. Per altri (Peirce e James) è uno stato mentale. Per Peirce il dubbio è uno stato mentale di insoddisfazione e di frustrazione che l’uomo tende a trasformare in stato d’animo calmo e certo con l’introduzione di nuove credenze. Per Cartesio è un metodo di controllo su ciò che non è evidente. Si veda Cartesio, Discorso sul metodo, in G. Brianese, Il discorso sul metodo di Cartesio e il problema del metodo nel XVII secolo, Torino, Paravia, 1988, 67. Mentre Cartesio indirizza l’uomo verso il dubbio individuale ed indica il dubbio come fonte accessoria di conoscenza insieme all’intuizione; Peirce indirizza l’uomo alla credenza ed indica come fonte unica di conoscenza l’abbandono dell’irritazione scaturente dal dubbio. La visione di Socrate è molto vicina alla visione cartesiana. Ma non del tutto. Mentre in Cartesio il dubbio è fonte accessoria di conoscenza, in Socrate è condizione unica e necessaria a conoscenza e virtù. E’l’unico modo di conoscere realmente e di esistere virtuosamente.

[27] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 133. L’ambito della metafisica è considerato da Socrate come l’ambito della non decisione. Dove l’uomo non ha i mezzi idonei a conoscere – come nel caso della natura della morte- deve rifiutare di decidere ammettendo di non conoscere.

[28] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 133-135. Gli ambiti della fisica e dell’etica sono considerati da Socrate come ambiti della decisione razionale. Dove l’uomo ha i mezzi idonei a conoscere – come nell’etica- deve decidere mettendo in discussione costantemente ciò che ha deciso. Con Socrate nasce il dilemma della conoscibilità delle valutazioni. Ed è risolto in senso affermativo.

[29] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 159.

[30] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 151.

[31] Cfr. Platone, APOLOGIA SWCRATOUS, cit., 123.

Ivan Pozzoni