ERACLITO DI EFESO

L'OPERA
Alla sua opera venne dato il solito titolo Sulla natura e si dice che fosse costituita da tre parti: sul tutto, la politica e la teologia. Ma si diceva anche che fosse scritto in modo oscuro, per tener lontano i lettori e che fosse depositato nel tempio di Artemide. Si doveva avere il sospetto che fosse scritto originariamente per massime, e Teofrasto spiegava questa circostanza con il carattere melanconico del suo autore. Di solito si osserva che su questa attribuzione di malinconia è nato il cliché di Eraclito rappresentato come 'il filosofo che piange', contrapposto a Democrito 'il filosofo che ride', mentre per Teofrasto 'melanconia' significa impulsività.
Edizioni e traduzioni

Oltre a DK e DK it si veda:

R. Walzer, Eraclitei, Raccolta dei frammenti e traduzione italiana. Sansoni, Firenze 1939, rist. anast. Olms, Hildesheim 1964.

G.S. Kirk, Heraclitus, The Cosmic Fragments, edizione con introduzione e commento, University Press, Cambridge 1954, 1962.

M. Marcovich, Heraclitus, Greek Text with a Short Commentary, The Los Andes University Press, Merida 1967.

R. Mondolfo-L. Tàran, Eraclito, Testimonianze e imitazioni, introduzione, traduzione e commento, La Nuova Italia, Firenze 1972.

M. Marcovich, Eraclito, Frammenti, Introduzione, traduzione e commento, La Nuova Italia, Firenze 1978

Studi critici
C.H. Kahn, The Art and Thought of Heraclitus, University Press, Cambridge 1979.
LA VITA

Diogene Laerzio (IX, 1) colloca l'acme di Eraclito nell'Olimpiade 69 (504-501): se, com'è probabile, segue Apollodoro, in quel periodo Eraclito doveva avere quarant'anni. Questa datazione si accorda con il fatto che, secondo Diogene Laerzio, Eraclito si riferiva a Esiodo, Pitagora, Senofane ed Ecateo. In questo caso l'attività di Eraclito cadrebbe prima del 480 a.C. Contro questa datazione si è obiettato che il riferimento all'esilio di Ermodoro (22B121 DK) farebbe supporre Eraclito ancora vivo nel 478 a. C., quando Efeso fu liberata dal dominio persiano. Ma questa, a rigore, è una difficoltà solo se si connette strettamente la notizia che Eraclito avesse quarant'anni nel 504-501 con quella che lo faceva morire a sessant'anni, cioè tra il 484 e il 481. Assai più inverosimili sono stati considerati i tentativi di abbassare le sue date fino a collocarlo dopo Parmenide.

La tradizione ci ha trasmesso particolari sulla personalità di Eraclito e alcuni episodi della sua vita. Ma si tratta di materiale senza valore storico, costruito sullo stereotipo del filosofo impersonato da Eraclito, oppure a partire da sentenze sue o a lui attribuite. Passava per superbo e sprezzante, in cattivi rapporti con i suoi concittadini, ai quali si sarebbe rifiutato di dare leggi. Si diceva che appartenesse a una famiglia nobile di Efeso, alla quale spettava il diritto di portare il titolo di re, un titolo al quale per arroganza avrebbe rinunciato a favore del fratello.

Le storie più strane furono inventate sulla sua morte. Diventato misantropo, si sarebbe ritirato sui monti, cibandosi di erbe e piante. Ammalatosi perciò di idropisia, sarebbe tornato in città e avrebbe chiesto ai medici di curarlo, seccando l'acqua di cui era pieno. Ma chiese la cosa per enigmi e i medici non lo capirono. Allora si cosparse di letame e morì, qualcuno dice divorato dai cani. Ma un'altra tradizione diceva che fosse guarito.

Almeno a cominciare da Platone è stata attribuita a Eraclito una teoria filosofica, spesso indicata con la formula del 'flusso universale': «paragonando la realtà alla corrente di un fiume, dice che non potresti scendere due volte nello stesso fiume». Secondo Aristotele, Platone aveva appreso questa interpretazione dall'eracliteo Cratilo, del quale sarebbe stato scolaro. Questi «rimproverava perfino Eraclito quando diceva che non è possibile scendere due volte nello stesso fiume; egli riteneva che non fosse possibile neppure una volta» e avrebbe sostenuto che «in fondo non si dovesse dire nulla, ma muovere soltanto il dito»#. Sappiamo poco di Cratilo e della 'moda eraclitea' della fine del V secolo, se davvero essa ci fu. Platone considerava l'eraclitismo un modo un po' rozzo di vedere le cose, condiviso da molti, da Omero a Protagora. Questa invenzione generò l'ipotesi aristotelica di una filosofia acquatica originaria. Aristotele pensava che quell'eraclitismo avesse condizionato, attraverso Cratilo, perfino la teoria delle idee di Platone; e può darsi che questa interpretazione di Eraclito e il miraggio dell'eraclitismo primitivo siano nati nelle discussioni tra socratici e tra platonici. Attraverso Teofrasto l'interpretazione della filosofia di Eraclito come dottrina del flusso universale entrò nella dossografia#, e poi nella storiografia moderna. Ma attraverso Teofrasto un'altra immagine di Eraclito passò da Aristotele alla dossografia: quella nella quale gli si attribuiva anche una teoria fisica che faceva del fuoco, anziché dell'acqua o dell'aria, la causa materiale#. Una terza distorsione del pensiero eracliteo è dovuta agli stoici, i quali ritennero che per Eraclito il mondo fosse periodicamente distrutto dal fuoco, e ricominciasse ogni volta da capo. La più tenace di queste interpretazioni si è rivelata quella del flusso universale. E stato Reinhardt a mostrare che Eraclito dà più importanza alla stabilità che al movimento. Nonostante che Reinhardt, con una forzatura cronologica, collocasse Eraclito dopo Parmenide, la sua proposta ebbe largo successo, anche se l'interpretazione tradizionale non è stata del tutto abbandonata, soprattutto nella letteratura corrente; del resto perfino l'attribuzione a Eraclito della conflagrazione universale trova ancora sostenitori. 

Eraclito è uno degli autori più antichi del quale possiamo leggere tratti significativi in prosa, e farci un'idea abbastanza precisa del suo modo di scrivere. Quello di Eraclito è un terzo tipo di scrittura accanto alle sentenze pitagoriche e alla poesia di Senofane. La sua scrittura ha un carattere oracolare, che si manifesta in modo caratteristico in celebri sentenze criptiche sui contrari. «Il giorno e la notte sono un'unica cosa» come «la stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi»#. Interpretando Eraclito come un cosmologo ionico o come il filosofo del flusso universale, si potrebbe vedere qui il riferimento a una trasformazione che ha come poli i contrari#. Qualche volta però non c'è trasformazione: «unica e la stessa è la via all'in su e la via all'in giù» oppure «unica e la stessa è la via diritta e quella curva della scrittura»#. Nel primo caso si tratta di due sensi della medesima direzione, nel secondo di due movimenti distinti. Altre volte ancora la stessa cosa assume due aspetti contrari solo in riferimento a termini diversi. «Il mare è l'acqua più pura e più impura: per i pesci essa è potabile e conserva loro la vita, per gli uomini essa è imbevibile e esiziale»#.

Eraclito però non distingue fra trasformazioni, relazioni diverse o valutazioni opposte; questa distinzione è stata inventata dagli interpreti che gli hanno voluto assegnare una teoria fìlosofìca. Egli usa tutti quei casi come esibizioni dell'identità dei contrari, della quale non dà una spiegazione; semmai la rende più oscura con sentenze quali: «non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira»#. Era questo modo di esprimersi, questo tipo di 'spiegazioni', che faceva dire di lui che fosse oscuro#. Forse Eraclito aveva composto non un vero e proprio libro#, ma solo una raccolta di sentenze, anche se fin dall'antichità si diceva addirittura che il suo scritto fosse diviso in tre parti#. Certamente disprezzava coloro che riteneva maestri degli uomini comuni, poeti come Omero, Esiodo e Archiloco o personaggi come Pitagora, Senofane ed Ecateo, creatori di un sapere casuale, apparente, buono tutt'al più per gli uomini comuni, che non sanno penetrare oltre la superficie delle cose#. Sozione riferiva che secondo alcuni Eraclito era stato scolaro di Senofane#, e il suggerimento è stato utilizzato anche da storici moderni. Effettivamente qualche volta egli mostra nei confronti della religione un atteggiamento simile a quello di Senofane. «Infatti le iniziazioni ai misteri che sono in uso tra gli uomini sono empie»; i riti di Dioniso coprono cose indegne; le purificazioni per mezzo di sacrifici sono sciocche così come le preghiere rivolte alle statue degli dèi#. Ma più che l'antropomorfismo omerico Eraclito critica la religiosità diffusa. E possibile che con il linguaggio dei poeti e con le credenze religiose Eraclito abbia lo stesso rapporto che Senofane ha con le credenze religiose dei poeti e con la loro 'teologia'. Eraclito opponeva allo stile dei 'falsi maestri' lo stile oracolare, lo stile dell'oracolo di Delfi: «il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice ne nasconde, ma da un segno»#. E’ difficile farsi un'idea precisa dello 'stile oracolare' che procede 'per segni'. Ma sappiamo che Eraclito preferiva «quelle cose di cui c'è vista, udito ed esperienza»#, anche se «occhi ed orecchie sono cattivi testimoni per gli uomini che hanno anime barbare»#. Alle forme letterarie complesse Eraclito preferisce l'appello diretto alle cose; ma queste vanno capite, cioè devono esser prese come segni oracolari. Un esempio tipico di stile oracolare è la sentenza «l'arco ha dunque per nome vita e per opera morte»# o «comune è infatti il principio e la fine nella circonferenza del cerchio»#. Rispetto alla religione tradizionale Eraclito si presenta come se fosse egli stesso una fonte oracolare. Non si fa ispirare dalle Muse, ma pretende di essere, lui solo in mezzo alla massa degli uomini dormienti, nello stato di veglia. Il carattere è quel che dà a un uomo ciò che altri attribuiscono a un demone, cioè a un potere divino#. In questo senso egli dichiara di «aver indagato se stesso»#, proprio come si indagano gli oracoli.

L'ANIMA E IL LOGOS

Nell'indagine di se stesso, nel rifiuto di un sapere fatto di accumulo di nozioni e ricerca di notizie# e nella convinzione che «neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo logos»# si è voluta vedere una specie di filosofìa della soggettività. Ma l'anima è un ragno che ha per ragnatela il corpo e si muove dove occorre#, strettamente legata al corpo. Del resto per Eraclito «l'anima secca è la più saggia e la migliore», perché l'anima è fatta essenzialmente di fuoco. Per l'anima «è morte diventare acqua» ma «dall'acqua nasce l'anima»#. Tutto questo farebbe pensare che Eraclito inserisca la propria concezione dell'anima in una vera e propria cosmologia. Invece egli accettava l'immagine popolare dell'anima come fuoco o come aria infuocata o etere, che era la parte più alta e pura del cielo, nella quale stanno gli astri. Se Anassimene intendeva l'anima soprattutto come respiro e aria, seguendo la concezione omerica, Eraclito interpretava l'anima e la vita soprattutto come calore e aria infuocata. E proprio a partire dall'anima Eraclito costruiva un'immagine del cosmo, riducendo l'universo intero a processi di esalazione#, che sono tipici dell'anima.

A tutta prima sembra che si tratti di un vero e proprio processo, ci sono «cangiamenti del fuoco: innanzi tutto mare, e del mare una metà terra e l'altra metà soffio infuocato». Ma anche qui subentrano subito un'immagine e una metafora: «il fulmine governa ogni cosa» e «mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose, allo stesso modo dell'oro con tutte le cose e di tutte le cose con l'oro»#; e il linguaggio riprende il solito andamento oracolare. L'aspetto caratteristico della cosmologia eraclitea è costituito dalla compresenza di due aspetti che sovente sono apparsi incompatibili o almeno difficilmente associabili. Da un lato c'è un'interpretazione meteorologica del cosmo, di solito ritenuta 'ingenua'. Gli astri sono catini che mostrano la concavità alla terra e nei quali si raccolgono le esalazioni della terra, che diventano fuoco. Le eclissi e le fasi lunari sono prodotte dalla rotazione verso l'alto della concavità dei catini astrali#. «Il sole è nuovo ogni giorno»#, perché si rinnovano le esalazioni che costituiscono l'astro. Si tratta dell'interpretazione che è largamente presente non solo presso Anassimene, ma anche in Senofane. Dall'altro lato Eraclito ritiene che ci sia nelle cose un ordine permanente: «quest'ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura»#. Le trasformazioni sono sempre parziali e avvengono soltanto all'interno dell'universo#. Dal mare derivano gli astri infuocati e la terra. La terra sottrae qualcosa al mare, ma poi «si liquefa come mare, e viene misurata con la stessa proporzione che c'era prima che diventasse terra»#. Sembra cioè che la terra liquefacendosi debba restituire al mare quel che gli ha tolto solidificandosi. Il fuoco, il fulmine che governa il tutto, dovrebbe mantenere l'universo costante e in ordine. Non c'è una successione precisa nelle trasformazioni, perché il fuoco diventa mare, questo in parte terra, in parte di nuovo fuoco, la terra si ritrasforma in mare, e questo in fuoco. In questo senso il fuoco si scambia con tutto.

Nel linguaggio eracliteo ha un'importanza particolare il termine logos, che può significare molte cose, la profondità dell'anima o la proporzione tra terra e mare; e forse in entrambi i casi è connesso con «misura». Ma, in quello che doveva essere l'inizio del suo scritto o la prima sentenza della raccolta#, Eraclito usava logos in un altro significato. Presentava il proprio pensiero o il proprio scritto come un logos: «del logos che è questo sempre gli uomini mancano di comprensione, prima di averlo ascoltato e dopo averlo ascoltato la prima volta»#. Esso è costituito da «parole» e si riferisce a «cose» dice Eraclito «che io espongo secondo natura, dividendo ogni cosa e dicendo com'essa è». Gli uomini dovrebbero conoscere quelle cose e quelle parole, eppure sembrano non averne esperienza. C 'è differenza tra i discorsi individuali e privati degli uomini, simili ai sogni#, e un discorso comune, che «dice le cose come sono». Tuttavia, «pur essendo il discorso comune, i più vivono come se avessero un'intelligenza privata»#. Il logos appare così come un insieme di parole che si riferiscono a cose e che rispetta un ordine. Gli uomini hanno esperienza delle singole parole e delle cose, ma non dell’ordine.

Il contenuto di questo discorso è la rivelazione che «tutte le cose sono una sola»#, cioè di un ordine nascosto, perché «l'armonia nascosta vale più di quella che appare» e «la natura delle cose ama celarsi». L'unità è costituita da connessioni, e «congiungimenti sono intero non intero, concorde discorde, armonico disarmonico, e da tutte le cose l'uno e dall'uno tutte le cose»#. Il contenuto di queste sentenze non è affatto chiaro. Eraclito potrebbe voler suggerire che si fa emergere l'unità delle cose trovando le connessioni e la molteplicità sciogliendo le connessioni nei loro costituenti; e il suggerimento è formulato anche qui nello stile oracolare, che tende a mettere insieme o addirittura a identificare i contrari. La stessa metafora del fiume («acque sempre diverse scorrono per coloro che s'immergono negli stessi fiumi»#), utilizzata di solito per illustrare la teoria del flusso universale, potrebbe voler dire che i fiumi rimangono sempre identici, per quanto il loro contenuto muti continuamente: e così significherebbe più la stabilità che il cambiamento. Più volte Eraclito ripete la medesima formula: «è saggio». Lo è «ascoltando non me, ma il logos, riconoscere che tutte le cose sono uno»; lo è «conoscere il vero pensiero, come tutte le cose sono governate attraverso tutte le cose»#; lo è colui «che vuole e non vuole esser chiamato con il nome di Zeus»#. La saggezza sembra dunque coincidere con il riconoscimento della sostanziale unità dell'universo: è un'unità nascosta e la si attinge solo attraverso accenni, risistemando le parole in modo diverso rispetto ai discorsi comuni, che fanno le persone comuni.

Una delle metafore preferite di Eraclito è la guerra: «la guerra è padre di tutte le cose, di tutte re, e mostra che alcuni sono dèi, gli altri uomini, gli uni ha fatto schiavi, gli altri liberi»#. Se si ritiene che Eraclito abbia sviluppato una teoria sistematica dell'identità dei contrari, allora la guerra può esser considerata solo come una metafora, per alludere a quella teoria; ma se si pensa che l'identità dei contrari sia semplicemente un'applicazione dello stile oracolare, allora tutte le sentenze sulla guerra sono un'altra applicazione di quello stile. La guerra, che sembra distruggere, in realtà crea ordine e da essa esce una gerarchla, quella che distingue gli dèi dagli uomini, i liberi dagli schiavi. Dalla guerra nasce anche la giustizia, perché «bisogna sapere che, essendo la guerra comune, anche la giustizia è contesa e tutte le cose nascono secondo contesa e necessità»#. Non è escluso che Eraclito concepisse l'ordine anche come gerarchia, non necessariamente coincidente con le gerarchie sociali esistenti. Certamente egli esprimeva un forte disprezzo per la massa degli uomini, che sono dormienti e incapaci di comprendere il logos. «La maggior parte degli uomini non intendono tali cose, quanti in esse s'imbattono, e neppure apprendendole le conoscono, pur se ad essi sembra». Essi «sono incapaci e di ascoltare e di parlare», «i più invece pensano solo a saziarsi come bestie» e «assomigliano a sordi coloro che, anche dopo aver ascoltato, non comprendono»#

L'immagine eraclitea del mondo non è benigna ne’ amichevole. Il discorso comune che Eraclito contrappone ai discorsi privati degli uomini non nasce da un accordo ne’ si presenta come una cosa facile da riconoscere: rivela un ordine nascosto, che bisogna andare a cercare attraverso segni. Aristotele e la dossografia posteriore hanno dato della cultura tra VII e VI secolo un quadro dominato dal naturalismo, con qualche rivelazione matematica dovuta soprattutto ai pitagorici; invece a quell'età appartiene una cultura certamente più arcigna di quel che la formula aristotelica del naturalismo faccia supporre. Platone e Aristotele tendevano a riportare il naturalismo primitivo all'acqua, mentre, anche se è sempre azzardato fare generalizzazioni, la cultura arcaica greca, da Anassimene a Eraclito, appare dominata dalla visione meteorologica del mondo. E i fenomeni meteorologici suggeriscono l'immagine di un universo che è sì in equilibrio, ma, dominato dalla potenza del fuoco e del fulmine, è sotto il controllo di una forza e il dominio di un'autorità. Quando nella cultura del VI secolo si intravede qualche allusione al mondo degli uomini, le idee di ordine sembrano prevalere. Di Pitagora si dice che fosse il fondatore di un'oligarchia religiosa; Senofane pare condividere la disapprovazione aristocratica per le democrazie rissose, espressa da tanta parte della letteratura moraleggiante e sentenziosa; Eraclito esprime un profondo disprezzo per gli uomini comuni. La visione meteorologica del mondo è nata forse all'interno delle credenze religiose e dei loro miti, che erano il frutto di un'intensa comunicazione di tradizioni religiose diverse, diffuse nel mondo mediterraneo e mediorientale. Poi nel corso del VI secolo i temi religiosi hanno prevalso, hanno assunto forme rigorose e chiuse nel pitagorismo antico, hanno generato le critiche moralistiche delle credenze diffuse o la costruzione di una cultura oracolare slegata dalle istituzioni.