Meister Eckhart Beati pauperes spiritu, quia ipsorum est regnum coelorum
La beatitudine
aprì la sua bocca di saggezza e disse: "Beati sono i poveri nello
spirito, loro è il regno dei cieli". Tutti gli angeli, e tutti
i santi, e tutto ciò che è nato, deve tacere quando parla questa eterna
sapienza del Padre, perché tutta la sapienza degli angeli e di tutte
le creature è un puro nulla di fronte all'abisso senza fondo della sapienza
di Dio. Essa ha detto che i poveri sono beati.
Se ora uno
mi chiedesse cosa dunque è un uomo povero che niente vuole, risponderei
così: finché l'uomo ha questo in sé, che è suo volere voler compiere
la dolcissima volontà di Dio, un tale uomo non ha la povertà di cui
vogliamo parlare; infatti egli ha ancora un volere, con cui vuol soddisfare
la volontà di Dio, e questa non è la vera povertà. Se l'uomo deve avere
vera povertà, deve essere così vuoto della propria volontà creata come
lo era quando non esisteva. Perciò io vi dico nella verità eterna: finché
avete la volontà di compiere il volere di Dio, e avete il desiderio
dell'eternità e di Dio, voi non siete davvero poveri 4.
Infatti è un vero povero soltanto colui che niente vuole e niente desidera.
Quando ero nella mia causa prima, non avevo alcun Dio, e là ero causa
di me stesso. Nulla volevo, nulla desideravo, perché ero un puro essere,
che conosceva se stesso nella gioia della verità 5.
Allora volevo me stesso e niente altro; ciò che volevo lo ero, e ciò
che ero, lo volevo, e là stavo libero da Dio e da tutte le cose 6.
Ma quando, per libera decisione, uscii e presi il mio essere creato,
allora ebbi un Dio; infatti, prima che le creature fossero, Dio non
era Dio, ma era quello che era. Quando le creature furono e ricevettero
il loro essere creato, Dio non era Dio in se stesso, ma era Dio nelle
creature 7. In secondo luogo, è povero l'uomo che niente sa. Talvolta abbiamo detto che l'uomo dovrebbe vivere in modo da non vivere né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Ma ora diciamo diversamente ed andiamo più avanti dicendo: l'uomo che deve avere questa povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Egli deve essere così vuoto di ogni sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui; più ancora: deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui 10. Infatti, quando l'uomo stava nell'eterna essenza di Dio, niente altro viveva in lui; cosa là viveva, quello era lui stesso 11. Perciò noi diciamo che l'uomo deve essere così privo del suo proprio sapere, come lo era quando non era ancora; e che lasci Dio operare quello che vuole, e se ne stia vuoto.
Tutto quello
che è mai venuto da Dio è fatto per un puro operare. L'operare proprio
dell'uomo è l'amare e il conoscere. Si pone ora la grossa questione:
in che cosa risiede essenzialmente la beatitudine? Alcuni maestri hanno
detto che essa sta nella conoscenza, altri che sta nell'amore; altri
dicono che sta nella conoscenza e nell'amore e questi dicono meglio.
Noi però diciamo che non sta né nella conoscenza né nell'amore; piuttosto
v'è qualcosa nell'anima da cui fluiscono la conoscenza e l'amore, e
questo qualcosa non conosce e non ama, come invece fanno le potenze
dell'anima 12.
Chi conosce questo qualcosa, sa dove risiede la beatitudine 13.
Esso non ha né un prima né un poi, non attende nulla che gli capiti
14, perché non
può guadagnare né perdere. Perciò questo qualcosa è privato anche del
sapere che Dio opera in esso 15;
piuttosto esso gode in se stesso, come fa Dio. I maestri dicono che Dio è un essere, un essere dotato di intelletto, che tutto conosce. Ma io dico: Dio non è né essere né essere dotato di intelletto, e neppure conosce questo o quello 16. Perciò Dio è privo di tutte le cose, e perciò è tutte le cose. Chi deve essere povero nello spirito, deve essere povero in ogni sapere proprio, in modo da non sapere niente, né di Dio, né delle creature, né di se stesso. Perciò è necessario che l'uomo desideri di non sapere o conoscere niente delle opere di Dio. In questo modo l'uomo può essere povero nel proprio sapere. In terzo luogo è povero l'uomo che niente ha. Molti hanno detto che la perfezione consiste nel non possedere alcuna cosa materiale della terra, e questo è verissimo nel senso di colui che si comporta così di proposito. Ma questo non è il senso che intendo io. Ho detto prima che è uomo povero quello che non vuole compiere il volere di Dio, ma che piuttosto vive in modo da essere privo del suo proprio volere e del volere di Dio, così come lo era quando ancora non era. Di questa povertà noi diciamo che è la più alta povertà. In secondo luogo abbiamo detto essere uomo povero quello che niente sa dell'agire di Dio in lui. Se uno sta privo del sapere e del conoscere, allora questa è la più pura povertà. Ma la terza povertà, di cui ora voglio parlare, è quella estrema: quella dell'uomo che niente ha. Fate qui molta attenzione! Ho detto spesso, e lo dicono anche grandi maestri, che l'uomo deve essere libero da tutte le cose e tutte le opere, interiori ed esteriori, in modo da poter essere un luogo proprio di Dio, dove Dio possa operare. Ma ora diciamo qualcosa di diverso. Se l'uomo è libero da tutte le creature, e da Dio, e da se stesso, ancora tale che Dio trovi in lui un luogo per operare, allora diciamo che l'uomo, finché si trova in questa condizione, non è nella più vera povertà. Infatti, per il proprio agire, Dio non cerca un luogo nell'uomo dove poter operare; ma la povertà nello spirito è quando l'uomo sta così privo di Dio e di tutte le sue opere, che Dio, in quanto voglia operare nell'anima, sia lui stesso il luogo in cui vuole operare - e questo lo farebbe volentieri. Giacché Dio compie la sua opera propria quando trova l'uomo povero in questo modo, e l'uomo subisce così Dio in sé, e Dio è un luogo proprio del suo agire; l'uomo invece è un puro subir-Dio nel suo agire, in considerazione del fatto che Dio opera in se stesso. Qui, in questa povertà, l'uomo raggiunge quell'eterno essere che egli è stato, e che ora è, e che sarà in eterno. C'è
una parola di san Paolo, in cui egli dice: "Tutto quello che sono,
lo sono per la grazia di Dio". Se ora questo mio discorso sembra
tenersi al di sopra della grazia, al di sopra dell'essere, al di sopra
della conoscenza e del volere e di ogni desiderio, come può essere vera
la parola di san Paolo? A questo proposito si dovrebbe rispondere che
le parole di san Paolo sono vere. Che la grazia fosse in lui, era necessario,
perché la grazia agì in lui in modo da portare a compimento come sostanziale
ciò che era accidentale. Quando la grazia ebbe compiuto la sua opera
e terminò, allora Paolo rimase ciò che egli era.
2 Ma proprio il tuo
altruismo è egoista, nutrito e alimentato, com'è, dal tuo io. Coloro
che mortificano il corpo nelle opere di carità [...] sono beati, ma
muoiono nelle loro opere, perché soddisfatti del loro stato.
4 Il desiderio di
un uomo per una donna è pura innocenza paragonato alla brama di una
eterna beatitudine personale. La mente è una truffatrice. Più sembra
devota, peggiore è il tradimento.
7 Naturalmente, dov'è
l'universo c'è anche la sua controparte: che è Dio. Ma io sono al di
là di ambedue. Signore, Voi non foste, prima che io da Voi fossi amata. 8 Tu sei al di là, oltre Dio, l'essere e il non-essere. 9 Io mi libero di Dio, e di me, e del mio prossimo. 10 Per me è: "il corpo", non "il mio corpo"; "la mente", non "la mia mente". La mente bada al corpo e io non devo interferire. Tutto è come va fatto, normalmente e naturalmente. Puoi non essere al cento per cento cosciente delle tue funzioni fisiologiche, ma quando risali ai pensieri e ai sentimenti, ai desideri e alle paure, l'autocoscienza diventa automatica. Per me, quell'insieme è largamente inconscio. Mi vedo dire e fare cose al modo giusto, ma non partecipo. Come se la vita fisica di veglia si svolgesse meccanicamente, con reazioni spontanee e intonate.
11 Di me posso dire:
sono la stessa coscienza intemerata, la consapevolezza indivisa di tutto
ciò che è.
13 La condizione
indisturbata dell'essere è la beatitudine. La condizione disturbata
è ciò che appare come mondo. Nella non-dualità c'è la beatitudine; nella
dualità, l'esperienza. Ciò che va e viene, nell'alternanza di dolore
e piacere, è l'esperienza. L'Uno è sempre beatitudine, mai beato. La
beatitudine non è conoscibile e non è un attributo. C'è una fonte, profonda
e inesauribile, da cui sgorgano la libertà dall'auto-identificazione
con l'insieme dei ricordi e delle abitudini, lo stupore di fronte all'infinita
portata dell'essere nella sua inesauribile creatività e trascendenza,
l'assoluta impavidità che nasce dalla scoperta della natura illusoria
ed effimera di ogni modalità della coscienza. Riconoscere la fonte come
fonte, l'apparenza come apparenza, e se stessi come la fonte, coincide
con l'autorealizzazione. Io ho già fatto tutto, dice quest'Anima. 15 Come il mio corpo scatta al primo accenno di un pensiero di movimento, così le cose accadono non appena le pensi. Bada, però: non è un mio fare, io non faccio, le vedo semplicemente accadere. 16 Pensi che Dio ti conosca? Egli nemmeno il mondo conosce. 17 Non dico neppure: sono Dio o in Dio, perché Dio è il testimone, la luce e l'amore universale, e io sono persino al di là. 18 Ma il mio punto originario è dove non c'è differenza, dove le cose non sono, né le menti che le concepiscono. Quella è la mia dimora. 19 L'essenza della schiavitù è immaginarti come un processo, come un essere che ha una storia, dal passato al futuro. In realtà, non c'è storia, non siamo un processo, non ci sviluppiamo, non decadiamo: vedilo come un sogno e stanne fuori. 20 Il realizzato non muore perché non è mai nato. Ciò che è nato, deve morire. Solo il non-nato è senza morte. Cos'è poi la liberazione? Sapere che sei al di là della nascita e della morte. In realtà non sei mai nato e non morirai. Ma ora immagini di essere e di avere un corpo, e ti chiedi che cosa lo ha prodotto.
21 Invece di cercare
ciò che non hai, trova ciò che da sempre hai avuto con te: ciò che è,
prima dell'inizio e dopo la fine di tutto, non-nato e senza-morte. Credi di essere nato un certo giorno in un dato luogo, con un corpo specifico che è il tuo. Il tuo errore è tutto in quella convinzione: non sei mai nato né morirai. Sento altresì che col non sapere non ho perso nulla, perché la mia conoscenza era falsa. Il non sapere mi ha mostrato che tutta la conoscenza è un'ignoranza, che "non so" è l'unica verità. Ad esempio, esamina l'affermazione: "sono nato". Ti sembra veridica, non lo è. Non sei nato, né morirai. L'idea è nata e morirà, non tu. Identificandoti con essa divieni mortale. 22 Che altro destino ti aspetti per un corpo? 23 Quando dici: "io sono", l'intero universo viene alla luce insieme al suo creatore. La coscienza sorge nel puro essere, nella coscienza il mondo sorge e tramonta. Tutto ciò che è è me, e mio. Prima di qualunque principio, dopo tutte le fini: Io sono. Tutto ha il suo essere in me, nell'"io sono" che brilla in ogni creatura. Anche il non-essere è impensabile senza di me. Qualunque cosa accada, devo essere lì a testimoniarlo. Tu sei la causa sottile dell'universo. Tutto è perché tu sei. Afferra questo punto con fermezza e profondità, e soffèrmatici continuamente. Capire che è vero, è la liberazione. Dio è tutto ciò che è grandioso e splendido; io non sono nulla, non ho, non faccio nulla. Eppure tutto promana da me: la fonte è me; io sono la radice, l'origine. 24 Sei la sconfinata potenzialità, l'inesauribile possibilità. Poiché sei, tutto può essere. L'universo è solo una parziale manifestazione della tua illimitata capacità di diventare. Risali alle origini del mondo e scoprirai che prima che esso fosse, tu eri, e che quando il mondo non sarà più, tu ancora sarai. Trova l'essere in te che è fuori del tempo, e la tua azione produrrà la testimonianza. Quell'essere l'hai incontrato?
25 Il "grande
maestro" è probabilmente lui stesso... Con "sgorgare"
intende la creazione, la nascita nel tempo; con "irruzione"
invece intende il ritorno verso (e oltre!) Dio. In altri termini l'"irruzione"
si può vedere come la "realizzazione". Altrove, in luogo di
"sgorgare", parla di "efflusso":
26 Dio si forma,
dove tutte le creature esprimono Dio: là si forma "Dio". 27 Quando ti realizzi, constati che sei sempre più di ciò che hai immaginato. 28 È lo sfondo immobile del movimento. Quando la raggiungi, sei a casa ovunque. 29 V'è della povera gente che torna a casa e dice: "Voglio sedere in qualche luogo, consumare il mio pane e servire Dio!". Ma io dico nella verità eterna che questa gente deve rimanere smarrita e non può mai raggiungere e conquistare quel che raggiungono gli altri, che seguono Dio nella povertà e in terra straniera. 30 Puoi conoscere solo il falso. Il vero devi esserlo tu stesso. Capiranno male tutti coloro che non sono questa cosa stessa.
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